Ho sottoposto il “fenomeno 24 Grana” all’attenzione di nuovi spettatori dei loro concerti. Se qualcuno mi diceva “Non ci sono mai venuto”, la soluzione si risolveva in una presenza circolare, costruita da un gruppo sovraeccitato dall’attesa e dalla partecipazione alla comunità che lo lega alla sua gente. Così capita che dopo l’apoteosi del Duel Beat il 20 febbraio, col tutto esaurito che ri-accoglieva a Napoli Francesco Di Bella e i suoi di ritorno dal viaggio Angloamericano, lo show nell’ OddyShed di Caserta poteva far pensare ad un rigurgito da inflazione. E invece anche in terra di Lavoro l’attesa accumulava i tempi, spingendo tra un bancone ingorgato di birre e schiuma uno spettacolo di spirito fieramente teen.
Il sottopalco ha stremato letteralmente l’energia inoculata dalla voce, urgente da spiccare, con il rodaggio dei pezzi nuovi giunto a regime. L’attacco di “Malevera”, primo pezzo agguato, migliora e migliora per aspirare ai piccoli dettagli sempre vuoti, fatti apposta da riempire di cariche. Così il crescendo smista al cuore ribollendo “Cenere”, “Ombre”, per poi scivolare nelle simboliche “Vesto sempre uguale” e “La costanza”. La svisata reggae di “Ce pruvate Robè” cresce al punto giusto, l’onda si chiude con la folla. “Salvatore” è ormai un amico. “Accireme” piace a mia madre, sarebbe piaciuta a mia nonna che ascoltava “Passione”. Gli anni tornano indietro con la memoria nuda di “Introdub”, perla da quel cofanetto-carillon a nome “Teatro nuovo”. Il richiamo ancestrale del “Cardillo” non manca di spezzare l’aprile.
Dovunque sia un messaggero che ci porti la storia giusta, che guardi coi nostri occhi. “Kevlar” sospende i tempi. Lo scambio delle genti coi 24 Grana, la voce da aedo e il piglio da scugnizzo parlano una lingua semplice e comune. Questo spettacolo è un auspicio alla primavera/estate che tarda. Non disperate, genti. Prima o poi, un cielo nero si colora. Col sole, o con la fantasia.
Autore: Alfonso Tramontano Guerritore
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