Il progetto Snow in Damascus! inizia nel 2011 quando Gianluca Franchi comincia a suonare insieme a Matteo Bianchini e Davide Besi (reduci da una lunga esperienza nei Moleskin), con l’idea di dare vita ai nove brani che si sarebbero aggregati in Dylar, disco d’esordio della band.
In seguito le collaborazioni si moltiplicano, per far giungere ogni canzone alla sua forma definitiva, coinvolgendo Andrea Ottaviani (chitarrista, anche lui nei Moleskin), Michele Mandrelli (elettronica e voce), Giorgia Fanelli (voce) e Ciro Fiorucci (batteria), il tutto sotto l’orecchio vigile di Michele “Parola” Pazzaglia, che si è preso cura delle registrazioni e del mixaggio nel suo Jam Recordings Studio.
L’album è dedicato al “Dylar”, il farmaco che attenua la paura della morte in “Rumore Bianco” di Don DeLillo. In una intervista, lo scrittore dichiarò che il significato della parola “dylar” fosse “muori” e “ridi”: Gianluca Franchi si lascia ispirare, nelle sue composizioni, da questa dicotomia paradossale per cercare di esplorare il limite tra vita e morte, paura e follia.
C’è molto di interessante nelle trame musicali dei nove pezzi del disco, che non arrivano all’ascoltatore in maniera eclatante e assordante, ma al contrario in maniera lenta, sussurrata, trasversale. Gli Snow in Damascus! si approcciano alla canzone alla maniera dei The National, e questo è un pregio. Purtroppo, il talento, almeno per ora, non è lo stesso, e dunque alcuni pezzi soffrono la lentezza della trama che si snoda senza molte soluzioni dinamiche. In particolare, è piuttosto lento e poco dinamico tutto l’inizio del disco, dall’ipnotica This Room a In the Opposite Way, dalla melodica Sink with Me alla essenzialista Blue. Il disco si eleva, e di parecchio, con Tide e soprattutto con Shadow Line: non perde la sua caratteristica di ritmo soffuso, ma acquisice epica, e comincia finalmente a convincere.
Nel districarsi dei pezzi si intravede e poi si comprende perché il gruppo abbia definito il proprio genere come “Folktronica”: ascoltate This Room o Sink with Me o Mine, e capirete quanto la definizione è azzeccata (mentre molto più convenzionalmente folk sono Blue e Changing Views).
Questo vuol dire che lo spazio per far bene, e addirittura per cavalcare un genere, c’è, e c’è anche il genio e l’intuizione musicale.
I brani hanno spessore, e anche molta pulizia sonora: quello che gli Snow in Damascus! ancora devono trovare è la convinzione dei propri mezzi, e qualche soluzione musicale che faccia “esplodere” i propri pezzi, perché a parte episodi isolati, è forse il dinamismo la mancanza maggiore che si sente nel disco.
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autore: Francesco Postiglione