La vera notizia intorno a Sound of the Universe è che, dopo 28 anni di gloriosa carriera e una serie impressionante di album a dir poco vincenti (Violator, Songs of Faith and Devotion, Ultra, Exciter, Playing the Angel), per la prima volta con questo disco, registrato tra Santa Barbara e New York, i Depeche Mode hanno sbagliato un colpo.
Per sonorità e stile potrebbe dirsi un Playing the Angel part II, ma non ne ha i colpi di genio: oltre a Wrong, singolo di lancio che aveva fatto ben sperare, c’è ben poco che può competere col recente passato, soprattutto per assenza di ritmo. Manca nei suoi 13 pezzi la batteria vera sostituita da drum-machine e ritmi elettronici troppo ripetitivi. C’è tanto synth, come sempre del resto e forse qui di più, ma stavolta senza effetti genialmente melodici.
Ci sono insomma tutti i soliti ingredienti bomba del sound dei Depeche (soprattutto elettronica abbinata allo stile dark) ma stavolta è l’amalgama a non funzionare come al solito. Non è in sé un album brutto, ma è poca cosa rispetto agli standard fin qui altissimi di questo gruppo leggendario: In Chains è un buon elettroblues, Wrong è valida, Fragile Tension interessante ma già sentita, Miles Away, Hole to Feed e Come Back hanno un buon ritmo, ma ci sono pezzi francamente insipidi come A Little Soul, Jezebel, Perfect, Corrupt. L’unico di vero valore inedito è Peace, sorta di elettro-gospel dai toni epico-melodici.
Insomma, riunirsi al produttore Ben Hillier (Blur, Doves, Elbow), non sembra aver aiutato: il punto è che mentre la prestazione di Dave Gahan è sempre ai massimi livelli (In chains, Peace e Come Back ne sono prova evidente), manca qui il tocco di Martin Gore, cervello melodico e musicale, che sembra andare un po’ avanti per inerzia.
Si può solo sperare che dal vivo qualcuno dei pezzi (che potrebbero andar bene solo come lati B dei precedenti album) si arricchisca di soluzioni (soprattutto ritmiche) che li renda esplosivi per un pubblico ghiotto e abituato fin troppo bene. Su questo anzi, si misurerà probabilmente il giudizio finale su quanto anche i Depeche possano dirsi sul viale del tramonto dopo una carriera che resta, nel suo genere, senza eguali e imitazioni. Il pubblico italiano di Roma e Milano (16 e 18 giugno) ci saprà dire.
Autore: Francesco Postiglione