La band di Brooklyn costituitasi intorno al leader e vocalist Peter Silberman (anche arpa tastiera, fisarmonica e chitarra) con Michael Lerner alla batteria e Darby Cicci alla tastiera e tromba torna dopo ben sette anni dall’ultimo disco, Familiars, interrompendo un digiuno che per i fan durava davvero da troppo tempo, e passando da etichetta Transgressive a Anti-. Il disco, ben salutato da riviste come Paste o Brooklyn Vegan, è stato addirittura definito “Musica scintillante e rilassante” da Stereogum, ed è presentato al pubblico col primo singolo Just One Sec, il cui video è stato realizzato dai registi Derrick Belcham e Emily Terndrup con i ballerini and Bobbi-Jene Smith e Or Schraiber.
La canzone, dal video volutamente bucolico, piuttosto indicativo del clima dell’intero disco, “è sulla difficoltà di sfuggire alla propria reputazione con qualcuno che conosci da vicino da molto tempo” , dice Silberman, e il sentimento che ne viene fuori è “un momentaneo senso di perdono, un’idea che è venuta fuori da una meditazione che ho praticato un paio di anni fa, e ho trovato le istruzioni di quella meditazione particolarmente potenti”.
Tutto il disco in realtà sembra musica da meditazione, stile New Age, e sembra essere questa una chiave anche dell’ispirazione di Silberman: “Ho deciso che volevo fare musica da Domenica mattina”. E’ certamente vero dunque che questo è un disco più rilassato e meno emotivamente instabile e scosso di precedenti album degli Antlers, ma questa caratteristica finisce per non rappresentarne un pregio. Il modo sempre sussurrato o in falsetto di cantare di Peter (come in Solstice), la quasi assenza di una batteria degna di questo nome, la presenza di pezzi strumentali, come Equinox, Strawflower, i ritmi costantemente lenti di ogni pezzo, lo rendono alla fine troppo monocorde. Sembra quasi una buddha-bar compilation, se non fosse per la chitarra che riesce, quando c’è, a disegnare riff suadenti e sinuosi, tipicamente indie, nella maniera personalizzata in cui i The Antlers sono indie dai tempi del primo disco Hospice. Per questa ragione Just One Sec, Wheels Roll Home, o Green to Gold, rappresentano i pezzi meglio riusciti, quelli che si differenziano da un sottofondo troppo simile a se stesso, troppo sfumato, troppo arioso, sereno, solare, ma alla fine monotono, nel quale si perdono inevitabilmente gli altri componimenti, a esempio dei quali citeremo Porchlight, dove un pianoforte e un cantato volutamente fifties vorrebbero trasportare in altra epoca, o in altra dimensione, ma finiscono soltanto per essere stucchevoli.
E’ come se gli Anters, rispetto a album notevoli come Hospice o Burn Apart, avessero voluto mettere da parte la vena più malinconica, romantica, lirica, e passionale, per cercare un punto di luce e di serenità dal quale guardare avanti. Ma dopo sette anni di silenzio questa ricerca personale, sulla quale ovviamente non ci sarebbe nulla da dire, si trasforma in una non-ricerca musicale, o comunque in qualcosa che ha alla fine snaturato il sound originale della band, il cui indie delle origini è ormai smarrito e dissipato in suoni che sembrano puntare al dream-pop ma restano al di qua dell’estasi che quel genere può suscitare.
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autore: Francesco Postiglione