Hanno facce ordinarie e look anonimo questi tre musicisti scozzesi che si presentano come Biffy Clyro. Almeno in proposito nulla a che vedere con gente come i Placebo di Brian Molko, con le sue tute aderenti in lattice nero lucido e le sue provocatorie pose da rockstar, ma magari nel confronto musicale tra le due band potrebbe anche darsi che – riconosciute le affinità – coloro che amano le composizioni rock più elaborate propendano per i meno noti Biffy Clyro.
Punk-rock evoluto, prossimo al grunge, dai ritmi sostenuti ma suonata con perizia strumentale superiore e soprattutto con tanta voglia di proporre cose nuove tramite traiettorie sonore e cambi di tempo originali (seguite con attenzione la valanga di accordi in canzoni come ‘Some Kind of Wizard’, ‘There’s No Such Thing as a Jaggy Shake’ e ‘Only One Word Comes to Mind’, ad esempio…) che nella musica moderna sono rari da incontrare a causa dell’imperante conformismo alle cose facili.
Non equivocate, tuttavia: malgrado quest’attitudine coraggiosa i Biffy Clyro suonano piacevoli e leggeri e non condividono con i conterranei Mogwai e Beta Band l’ambizione di destrutturare il rock e superare la “forma canzone”; soprattutto applicano le loro trovate compositive originali a modelli arcinoti, attingendo infatti a piene mani dall’inesauribile serbatoio dell’indie-rock americano degli ultimi 20 anni.
Molta America e pochissimo UK, dunque, in questo “Infinity Land” che si apre con 80 secondi completamente elettronici che ti lasciano spiazzato sin quando poi partono le schitarrate splendidamente pop di ‘Glitter and Trauma’ e realizzi il deja vu: i Flaming Lips in un disco del 1992 ci fecero lo stesso scherzetto ponendo un pezzo semidigitale in apertura.
Il cantante dei Biffy Clyro poi ha questa voce assolutamente identica a quella di Lou Barlow, e molte canzoni del disco infatti ci permettono finalmente di figurarci come avrebbero suonato le registrazioni dei gloriosi Sebadoh se Lou avesse rinunciato alle incisioni in bassa fedeltà ed avesse nel contempo usato chitarre più robuste e metalliche. Su tutte direi ‘My Recovery Injection’ rappresenta il puro stile Sebadoh 100%. Per il resto, i nostalgici degli Husker Du si rallegreranno di ‘The Kids from Kibble and the Fist of Light’ o di ‘There’s No Such Thing as a Jaggy Snake’: sostenutissimi ed a tratti isterici siluri indie.
20 minuti di silenzio e inutile ghost track di 60 secondi a parte, la sostanza è fatta di 52 minuti di buona musica che potrebbero passare inosservati al grande pubblico soltanto per una promozione poco efficiente da parte della Beggars (ma nno ci sembra questo il caso). Intanto i Biffy Clyro sono reduci da una tournèe americana nella quale hanno diviso il palco con gli psichedelici Warlocks ed in questa primavera guaderanno la Manica per affrontare il pubblico europeo; dal 2000 ad oggi hanno realizzato tre dischi e molti CD-single, alcuni dei quali con cover art erotic-soft di Milo Manara. Però!!
Autore: Fausto Turi