Ascoltando Love-Lore assicuratevi di essere in compagnia di qualcuno che conosca il gruppo californiano o che ami la musica sperimentale, altrimenti avventuratevi in solitudine in questa opera che giunge dall’altro lato dello specchio. Arduo sarà individuarne le quarantatré cover che la compongono, suonate dal vivo in studio durante una mattinata, sono rinchiuse nei cinque pezzi omonimi, per differenziarli avete solo un numero e tra parentesi i nomi degli autori di cui le rivisitazioni cuciono ogni capitolo.
Riconoscerete sicuramente “All Tomorrow’s Parties” (Velvet Underground, 1967) che arriva a tamponare le orecchie dopo il medley n.4, diciannove minuti e due secondi non stop per ventiquattro citazioni, tra cui The Police, Kraftwerk, Parliament, Ennio Morricone, Igor Stravinsky, Caetano Veloso, etc…
Dal Bandcamp dei Deerhoof (e anche dal sito) si può scaricare gratuitamente il disco e leggere che l’origine del progetto alberga nella proposta di Benjamin Piekut (Università di Cornell) per la loro partecipazione alla prima edizione (2019) del Time Spans, festival di musica sperimentale a New York. L’idea di Piekut era che il gruppo riproducesse un intero album, per esempio di Mauricio Kagel o Luciano Berio, ma la band preferì lanciarsi in un unico set composto da un enorme medley che, registrato in studio un anno dopo, ha dato alla luce “Love-Lore”. A Piekut l’opera ricorda Goodbye 20th Century (1999) dei Sonic Youth, “ma mentre il gruppo di New York aveva lavorato su colonne sonore di Cage, Wolff e altri compositori, i Deerhoof adottano un approccio più ‘popolare’, imparando i temi a orecchio direttamente dal disco e riproducendoli secondo i loro gusti. Se i Sonic Youth coltivavano una certa riverenza per i loro predecessori musicali, i Deerhoof sembrano più scettici, non per questo mancandone di rispetto…”
I quarantatré pezzi di “Love-Lore” sono estratti da un periodo che va dagli anni ’50 ai ’80, secondo Joyful Recordings, l’etichetta del gruppo, “è un tentativo di riflettere sulle promesse di progresso eccessivamente ottimistiche che l’umanità ha nutrito attraverso la cultura e la musica del dopoguerra (…) i Deerhoof trovano conforto nella saggezza di alcune voci anti-establishment di quell’epoca, in particolare gli afro-futuristi, i cui semi sono cresciuti per cominciare ad essere alberi.”
La copertina di Satomi Matsuzaki (bassista e cantante del gruppo), aiuta ad avvicinarsi all’idea, un enorme fungo nucleare è sullo sfondo, un albero con la chioma di teschio affonda le radici in libri e vinili mentre un piccolo uomo si protegge dall’esplosione e un’automobile, un maggiolone volante, deraglia per un’avaria al motore.
http://deerhoof.net/
https://www.facebook.com/Deerhoof
autore: Lorenzo Donvito