Attenzione gente perché un intro di disco così non si sentiva dai tempi di tanti capolavori da storia del rock: Suicide Songs dei Money si presenta come una bomba, un fulmine di tempesta nel cielo sereno e statico del (quasi) nulla musicale di questo secondo decennio del terzo millennio.
Bella Union davvero non sbaglia un colpo: la band di Manchester conosciuta per il magnifico album di debutto The Shadow of Heaven è tornata più in forma che mai, e con queste canzoni da suicidio si candida come next big thing dei prossimi anni.
Folk, rock alla Dylan, un po’ di country post-moderno alla Josh Tillmann, e molto altro, nel mix sonoro che fa di pezzi come I Am the Lord e I’m Not Here degli autentici capolavori, che vibrano di melodia struggente e contemporaneamente suonano incredibilmente nuovi e classici allo stesso tempo.
Il loro stile è sancito al massimo livello da I’ll Be the Night, vera canzone manifesto anche dal punto di vista testuale (e, a proposito: da quant’è che una band non scriveva una canzone manifesto?!!). I’ll be the Night è una ruvida e drammatica presa di posizione, profonda tristezza insieme con una coraggiosa voglia di resistere. La voce del cantante Jamie Lee si incontra con una armonia dissonante e una batteria sfumata, mentre si cantano parole profonde e evocative che da tempo non ascoltavamo in una band rock: “imperi che sprofondano, tutt’intorno in solitudine e in cerca di amore”. Mentre il video, per la regia di Liam Healy, mostra una Londra addormentata fra quartieri notturni e pub locali, amplificando la natura disperata del pezzo.
Ma il momento forse più epico del disco, intensissimo e lungo, è Night Came: qui il “trucco” dei Money emerge in tutta la sua chiarezza: pur non scrivendo nulla di nuovo, né in termini di accordi né in termini di arrangiamenti (il pezzo è nella classica sequenza re-sol del rock bretone-irlandese), Night Came suona assolutamente fresca, nuova, epica, geniale, travolgente. Se non ci fosse nei Money molta più ricerca strumentale, di archi e strumenti acustici soprattutto, sarebbero da accostare ai migliori Verve per queste caratteristiche.
Dopo il grande debutto di The Shadow Of Heaven, la band ci porta con Suicide Songs ancora più nel profondo del loro sound: un capolavoro disperato e disperante, una splendida nenia dolorante che dura per 9 intensissime track, magnetiche, che ti catturano come un incantesimo.
Come per tutti i grandi album, la creazione di questo disco non è stata semplice né veloce: nel 2014 Jamie Lee si reca a Londra “per diventare il miglior autore che potessi essere, scrivendo poesia e canzoni”, mentre Billy Byron e Charlie Cocksedge restano a Manchester a produrre musica. Ritornato a Manchester, Lee si scontra spesso con gli altri due, avendo di fronte “dispute sulla direzione da intraprendere, con in mano canzoni ma nessuna palpabile strada. Il risultato era onestamente pessimo. Ma ci ha unito”. Convinti dal produttore Charlie Andrew a tornare a sud di Londra, dopo tre mesi nello studio di Brixton la fatica e lo strazio delle prime bozze si è trasformata in questo che è indiscutibilmente un capolavoro.
“Volevo che l’album suonasse come se emergesse dalla morte, che è da dove queste canzoni vengono: l’album è morboso e oscuro, e non si risolve. L’unico tipo di trionfo è che siamo stati capaci di esprimere la morbosità della situazione nella quale mi sono trovato”. Liriche come “davvero osi sprofondare nel mio mondo senza speranza/dove faccio luce strana, incerta e assurda” (Hopeless World) o “La gente è strana, direi che sono deviati/ preferirei essere un barbone in strada, perché sono qui solo dopo che sono scomparso” (I’m not Here), e melodie e accostamenti di accordi come ai tempi di Urban Hymns dei Verve lasciano capire che ancora una volta dal dolore e dalla sofferenza, se catartizzata, viene fuori sempre splendida arte.
Da contraltare al titolo, e al tema doloroso di molte canzoni, c’è l’aria musicale dell’album che è tutt’altro che oscura e pesante. I’ll be the Night, Night Came, I Am the Lord, sono pezzi musicalmente ariosi, solari, epici, dove la voce camaleontica ma sempre pienamente british di Lee campeggia tuonante, trionfante, come un angelo che indica la via fuori dal buio.
Non c’è esibizionismodel dolore, né autolesionismo, né nichilismo in questo disco: “Dopo tutto, ho cercato di progettare e rappresentare una verità poetica. Il suicidio riguarda l’anonimato, il punto in cui non esisti, che io sento decisamente nel mio comporre musica come persona. Ma piuttosto che uscire dall’anonimato attraverso la scrittura, voglio rimanere qui, in questo disco, almeno. E’ una specie di natura sacfrificale nell’ambito delle scelte artistiche. Rumimando intorno ai tuoi sentimenti e cercando di trovare un senso alla vita, a detrimento della tua salute, ci potrebbero essere dei valori artistici in quello che hai creato”.
E senza dubbio Suicide Songs è arte: è un disco che dal primo ascolto non esiti a mettere tra i primi 50 dischi più belli dal 2000 ad oggi, certo che gli ascolti successivi non ti faranno cambiare idea. E’ un disco nuovo, ma si collega a una precisa e solida tradizione musicale, che non tradisce, che va dai songwriter alla Dylan fino al british-pop e grunge degli anni ’90. E’ un disco dove, per la prima volta da molto tempo, c’è una ricerca musicale che ha consumato e estenuato anche fisicamente l’autore, che ha scavato dentro se stesso per tirare fuori l’ispirazione poetica che serviva.
Da quanto tempo non sentivamo di autori che scrivevano così?
Il tour dei Money girerà tutto l’UK per il 216, ma farà capolino anche a Milano, al Circolo Magnolia. Non ve li perdete perché questa band entrerà nella storia del rock del terzo millennio, che se ne senta parlare o meno. Il dolore non mente mai.
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autore: Francesco Postiglione
MONEY – I’ll Be The Night (Official Video) from Bella Union on Vimeo.