Una delle cantautrici che meglio rappresenta questa parte di universo musicale. Fra le più grandi voci femminili e artista versatile che ha sempre sorpreso in positiva ad ogni sua nuova uscita. Cristina Donà si racconta in occasione del suo concerto a Salerno. Parole che sanno avvolgere, incantare e far riflettere su quello che è il mondo. Forse ogni tanto bisogna fermarsi e guardarsi indietro.
In molti punti il tuo ultimo disco, “Torno a Casa a Piedi”, pare voglia esprimere la voglia di tornare ad una condizione vicina all’antico. Un abbandono dei pesi di cui si è caricato l’uomo del 2000 che pensa solo a sé e non trova mai un attimo per sé: tutta questa corsa ci sta facendo perdere il senso dello splendore che vive intorno a noi?
Sicuramente, e mi fa piacere che tu abbia colto questa cosa, perché è un tema che mi sta molto a cuore, anche se io, in realtà, non sono riuscita a trovare la formula magica e soffro della stessa sindrome: quella della persona che è troppo occupata ad occuparsi di cose che in fondo sono superficiali, cose che non sono fondamentali per le nostre vite. Penso che questo sia parte di un progetto. Sono riusciti a distrarci in continuazione. Se vogliamo possiamo chiamarle “armi di distrazioni di massa”. Ci hanno distratto con cose che reputiamo fondamentali. Parlo di cellulari e questo genere di cose che da una parte dovrebbero semplificare le nostre vite ma, in sostanza, ad oggi le hanno molto complicate.
Vivo questa condizione in modo molto lampante perché ho deciso di trasferirmi in montagna molti anni fa. Una montagna abitata, per carità. Non in una baita. Mi capita, però, di notare ancora di più questa differenza, perché, per quanto ci sia una vita comunque frenetica dove abito, c’è una grande differenza fra lì e la città. Mi dispiace, fin quando non capiremo che è utile fare un passo indietro e che tocca a noi prima che a quelli che stanno su, perché tanto a quelli che stanno sopra non gliene frega niente, non cambierà molto se non riusciamo ad invertire le cose.
Capisco anche che non sia facile, perché abbiamo impostato tutto in un certo modo e tornare indietro è come ricominciare da capo, e non tutti possono farlo agilmente. Però è fondamentale, anche per quello che è il futuro delle nuove generazioni.
“Miracoli” è, in un certo senso, un inno alla vita, alla fantasia: un canto di speranza pieno di ottimismo. Si può dire che Cristina Donà è per la rivoluzione della fantasia, dell’amore e della musica come alba di una primavera nuova?
Avevo già scritto una canzone sull’immaginazione. “Miracoli” è più che altro sul potere e la forza dell’immaginazione. C’è una canzone che si chiama “Salti nell’aria”, contenuta in “Dove Sei Tu”, che è dedicata ai bambini. Evidentemente esce fuori anche in “Miracoli”: l’immaginazione non è solo quella che noi attribuiamo agli artisti e quelli che hanno un mestiere a contatto con l’inventiva, ma è una parte dell’uomo che ha permesso all’uomo stesso di progredire, cioè immaginare qualcosa che possa migliorare la nostra vita e aiutarci a risolvere i problemi. Immaginare è un processo intellettivo importante, quindi quando posso lo sottolineo e cerco di portarlo all’attenzione delle persone che mi ascoltano.
La rivoluzione è una rivoluzione sociale per me, anche se “arriva” in un contesto bandistico (come in “Miracoli”, ndr) e magari non si capisce, ha un significato più profondo rispetto a quello che può apparire. Quando ho scritto il ritornello ricordo che sentivo nell’aria arrivare questo periodo pesante che avrebbe portato a qualcosa di grosso. Da una parte è bello vedere che ci sono in atto delle rivoluzioni sociali, soprattutto in quello che è il Nordafrica, con tutto quello che è lo spargimento di sangue che non fa piacere a nessuno. Ma purtroppo alcuni cambiamenti sociali prevedono anche questo. Poi anche il movimento degli Indignati: spero poi che alla fine servi a qualcosa. “Mettiti un vestito per l’occasione, preparati, c’è la rivoluzione” è questo: la rivoluzione si fa con l’immaginazione. C’era uno slogan, “Immaginazione al potere”, che inneggiava anche a questo. Poi nella canzone ci sono tante cose, anche un riferimento molto bello di David Lynch: “Una Storia Vera”. C’è Il riferimento a quello che è la forza dei rapporti umani e dell’amore, l’amore come sentimento universale, come qualcosa che conserva in sé una forza che ci permette di andare avanti. Una canzone di Springsteen mi ha sempre commossa, “Reason To Believe”, che dice “… alla fine di ogni duro giorno la gente trova comunque una ragione per credere…”. Purtroppo non rispecchia sempre la realtà, ma spesso è così e molte volte questa cosa ha a che fare con l’amore. In un periodo così buio mi sembrava bello sottolineare tutto questo. È una forza che può aiutare l’uomo, ma si torna al discorso di prima: ci può essere tutto l’amore che vuoi, ma se non si fa un passo indietro non so se sarà sufficiente. Io me lo auguro.
La tua formazione artistica non si ferma alla musica. Sei una persona immersa nell’arte: sei una scrittrice, disegnatrice, fotografa, cantante, poetessa. Come nasce il rapporto con le varie forme d’arte con cui ti sei cimentata e c’è qualcosa di nuovo che hai intenzione di sperimentare in futuro?
Da quando ho iniziato questo mestiere ho tralasciato, purtroppo, le altre passioni. Mi definisco solo una cantautrice, per ora, anche se mi piacerebbe tornare a disegnare. Per quanto riguarda la fotografia, da quando esiste il digitale faccio veramente molta fatica, perché le possibilità sono talmente infinite. Non so definire bene il mio sentimento, forse di dispersione, nei confronti della fotografia. Userei la fotografia in funzione del disegno. Vedo sulle riviste d’arte che molti artisti dell’arte figurativa usano la fotografia per le loro opere.
C’è sempre stata un’attrazione, fin da piccolina, verso la musica. Per diverse ragioni ho fatto il liceo artistico, ma la musica ha sempre avuto un impatto più forte. È una cosa di cui mi sarebbe molto difficile fare a meno. Lasciare questo mestiere sarebbe molto doloroso. Chiamiamola “attrazione fatale”.
Tantissime collaborazioni durante la tua carriera: ti capita di avere un rapporto diretto e vicino con gli artisti con cui collabori? E qual è il ricordo più bello legato a questo aspetto della tua figura?
È capitato anche di fare cose con colleghi che non conoscevo benissimo, ma sono tutte collaborazioni nate spontaneamente. È sempre nato tutto da incontri casuali, telefonate per scambiarci complimenti. E da lì si parte ad una collaborazione. Te ne posso dire due, perché sono le più fresche, anche se una è di un bel po’ di tempo fa. Vabbe’, poi c’è quella con Robert Wyatt, che ormai è entrata nella storia, e quella non la tocca nessuno. Però non posso non citare Francesco De Gregori, con il quale ho duettato a Torino nel luglio di quest’anno al Traffic Festival, davanti a 50000 persone. È stata un’emozione incredibile. Nell’agosto del 2010, invece, mi sono ritrovata a condividere il palco-prato, visto che era uno spettacolo in montagna, con Marco Paolini, che io stimo da tantissimo tempo: un artista straordinario ed un attore incredibile. C’erano 4000 persone, tra l’altro alle 9:00 di mattina, in un posto in montagna dove ci si poteva arrivare solo a piedi, il primo agosto. Ti lascio immaginare l’emozione. Tutte e due esperienze incredibili. Tra l’altro con De Gregori, che chiamo per cognome perché chiamarlo “Francesco” ancora no (ride), ci si sente ed è nato un rapporto, e per me è un onore enorme. Marco Paolini lo conosco da un po’, perché mio marito ha collaborato con lui, ed è stato bello che mi ha chiesto di collaborare a questa cosa che spero si ripeterà. La cosa buffa è che Marco mi aveva invitato allo stesso spettacolo ispirato ai racconti di Jack London il 7 luglio, proprio la sera che dovevo cantare con De Gregori, e quindi spero ci sarà modo di fare qualcosa di nuovo. Il 22 ottobre è successo di nuovo con De Gregori, che era vicino casa mia. Ringrazierò a vita Max Casacci (dei Subsonica, ndr), che è uno degli organizzatori del Traffic, visto che grazie a lui si è realizzato questo duetto. Quella sera Francesco, chiamiamolo Francesco, mi ha detto “Io adesso sarò in tour e se ci sono delle date dove vuoi venire sei la benvenuta”, e appena ho visto che potevo disturbare ho chiamato. È bellissimo. Quando metto su qualcosa di suo dico: “Ma io ho cantato con lui!”. Sono felicissima di questa cosa.
Hai portato la tua musica in diverse trasmissioni televisive: come ti poni di fronte al rapporto fra televisione e musica e, soprattutto, a come si è sviluppato negli ultimi anni con reality show e l’approccio sempre più limitato ai fini commerciali?
Il mio rapporto con la TV non è mai stato grandissimo. Per come mi sento quando ci vado, non perché la televisione sia per forza un mostro. Ci sono programmi dove sono andata molto volentieri, come quello di Serena Dandini, che purtroppo ha dovuto fare le valigie e spostarsi su La7. Sono andata varie volte a “Parla Con Me”, davvero bello. Seguo la Dandini dai tempi di “Avanzi” e “La Tv delle ragazze” e la prima volta che ci sono andata quasi non riuscivo a spiaccicar parola. Non è una cosa che dico solo io: la TV italiana ha delle grosse lacune inarginabili che stanno diventando delle voragini. Per quanto riguardo la musica ancora di più. Non esistono più programmi di approfondimento musicale. Da tanto, ormai.
Io personalmente mi ricordo Massarini e quello di Renzo Arbore che era una trasmissione incentrata sulla musica dal vivo. Invece i programmi come “Top Of The Pops” sono importanti per la percezione che la gente poi ha della musica, perché se non dai valore e non racconti quello che è la musica e come viene fatta è normale che la gente scarica la musica.
Negli altri paesi comunque viene scaricata, però esiste una forma di rispetto, soprattutto in Inghilterra e Francia, che fa si che la gente, se ama particolarmente un artista, il CD o l’mp3 lo compra. Anche se mi dispiace pensare al formato mp3, perché ha un’ulteriore riduzione delle frequenze. E il gesto è una questione culturale. Questo significa dare un appoggio alla musica.
Poi c’è la radio e ci sono vari canali radiofonici interessanti: Radio3 ha programmi di musica classica, Radio2 ha tanti bei programmi, che per fortuna esiste, dico io, perché è stata una delle radio che ha passato di più la musica ed un certo tipo di musica, che non amo definire di nicchia perché sono certa che nessuno dei miei colleghi fa musica per essere ascoltato da pochi: tutti vogliono arrivare a più gente possibile. Sono gli altri a dire che è musica di nicchia. Anche i giornalisti che, per carità, mi hanno sempre aiutata molto. Questo diventa però pericoloso, perché chi ascolta solo Pop poi ha dei pregiudizi e parte prevenuto. Naturalmente poi c’è musica che ha bisogno di più ascolti, ed è un altro problema del nostro periodo storico. E mi rendo conto che anch’io, in questo momento della mia vita, a volte ho un approccio superficiale, e se non mi colpisce subito una canzone la “trascuro”. In realtà ci vuole il coraggio di dedicare più tempo alle cose. Mi rendo conto che, avendo tanti input, tante cose meravigliose ci sfuggono. Per quanto riguarda i reality credo che il problema sia il fatto che non esistono alternative: se mi fanno vedere che la musica è solo quella è pericoloso. Viene mostrata come un qualcosa solo per vocalist, a parte i casi come Natalie che scrive anche ed è una bella persona. E così scompare tutto quello che c’è dietro. Io reputo Morgan ed Elio due artisti eccezionali, e che ci siano loro lì mi fa piacere, perché sicuramente grazie a loro oltre al messaggio della competizione passano tante altre cose. E credo che uno come Elio abbia scelto di partecipare per quello, perché oltre al compenso che poteva avere sapeva che andando lì poteva aggiungere qualcosa e far arrivare dei messaggi. Il problema è che manca tutto il resto, e se voglio vedere un programma di approfondimento non posso. E questo fa capire qual è la considerazione della musica in Italia.
Domanda di rito: cosa deve aspettarsi il pubblico che viene ad assistere ai tuoi live?
Sarebbe bello che non si aspettasse niente e avesse la mente sgombra da aspettative. Questa è la stessa cosa che faccio io quando suono. Spero più che altro abbia voglia di ascoltare. È quello che io chiedo. Mi piace l’idea di poter emozionare le persone e creare un dialogo tra le righe, non per forza fatto con le parole delle canzoni. Qualcosa che vada oltre, un messaggio affidato alla musica che è fatta di frequenze che arrivano alla persone ed in qualche modo le sconvolgono. Mi piacerebbe che arrivassero pronti a farsi un po’ sconvolgere. Ma già il fatto che abbiano voglia di venire per me è tanto, quindi spero io di poter dare il massimo a chi viene. Sarà una giornata molto lunga perché ho deciso di viaggiare in treno da Milano a Salerno. Però non vedo l’ora. Sto parlando di questa data da molto tempo. Ho visto che gli organizzatori hanno fatto un’ottima attività di promozione. Se non erro c’è un’associazione che ha organizzato il concerto che ha chiesto l’appoggio al locale per organizzare quest’evento. Sono carica per questa cosa anche perché noto che di appassionati e di gente che ha voglia di rischiare per organizzare un concerto ce ne sono sempre meno, perché oggettivamente è un periodo difficile. Mettersi in discussione anche a livello finanziario può essere impegnativo. Sono molto grata a questa intensione e voglio dare il massimo, ma è una cosa che cerco di fare sempre. Quella di Salerno sarà praticamente la prima data del tour. Ce n’è stata una più di un mese fa a Terni però era una data 0, una sorta di sperimentazione. Spero porti bene a me e agli organizzatori.
Autore: Franco Galato
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