Nelle ultime date dell’intenso tour di ‘Ballate per Piccole Iene’, gli Afterhours, ormai più che una certezza sui palchi italiani, fanno sì che un’ora circa di esibizione possa essere sufficiente a proporre tutti i brani più significativi della loro lunga carriera, accontentando sia i teenagers folgorati sulla via di Damasco con le loro ultime – e a ragione ultraosannate – ‘Ballate..’ che i tanti ‘non usciti vivi dagli anni ottanta’. Questo fondere più generazioni di rock italiano è una delle funzioni più riuscite agli Afterhours, più ‘leggibili’ dei Marlene Kuntz, meno ideologici di tutta la saga ferrettiana: più popolari in una sola parola, ma di quel popolare con retrogusto d’autore. Questa indubbia posizione di centralità nel rock ‘autoriale’ italiano sul palco è evidente; un po’ come i Bad Seeds in ambito internazionale (con le dovute differenze e riverenze) e al di là della copula artistica con il grunge-soulman Greg Dulli.
Infatti, dopo che il popolo rock del nordest dalle fredde lande intorno al New Age si è accomodato arrivano (‘presissimi’ stasera) vestiti di nero occupando tutto il palco con la loro presenza e strumentazione, ma soprattutto con una carica di elettricità e di immediatezza che si trasforma in alcolica poesia corale. Un’ora o poco più, come detto. E ora ai nostri un meritato riposo dopo questo tour che immaginiamo sarà stato estenuante; a noi invece resta il quesito marzulliano sul cosa faranno ancora gli Afterhours dopo tutto questo.
Autore: A. Giulio Magliulo
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