Il precedente disco del 2008 del musicista californiano Kelley Stoltz, settimo in una carriera iniziata nel 1999 ed intitolato Circular Sounds, ci era piaciuto malgrado avevamo notato a suo tempo una qualche mancanza di caratterizzazione e personalità nelle composizioni, che si muovevano tra atmosfere psichedeliche fine anni 60 inizio 70 assolutamente canoniche.
Per questo nuovo album sciogliamo invece le riserve, non perchè il disco sia innovativo o in qualche modo originale, piuttosto perchè in queste 13 canzoni il talento dell’autore è palpabile, e l’ispirazione pulsante, e ci sembra giusto sottolineare la sostanza, piuttosto che la forma; così ritroviamo un musicista nettamente migliorato, che ha preso sicurezza nei propri mezzi, ed un album piacevole che non rivoluziona la musica pop ma merita attenzione.
Kelley Stoltz non è un figlio dei fiori, e non suona soltanto revival; utilizza piuttosto un certo tipo di pop psichedelico e di suoni retrò, più o meno zuccherosi e fluorescenti a seconda dei brani, per rivestire le sue canzoni cantautorali – che tra l’altro stavolta il supporto della band rende più rock, rispetto all’esordio veramente cantautorale di due anni fa – canzoni che rimangono dunque immuni dall’accusa di revivalismo e basta.
Così pur essendoci tanta California anni 60 – Graham Nash e Tom Rapp, in particolare, oltre alla miriade di garage band dell’epoca… – e poi Lou Reed e Syd Barrett, To Dreamers è ad ogni modo in linea con le produzioni indie rock moderne, e se il livello medio del disco è discreto, alcuni brani vanno applauditi: ‘Little Girl’, ‘Keeping the Flame’ e ‘Love Let me in Again’, arricchite da echi fuzz, nastri che girano al contrario e rigogliose tastiere, sanno tanto di Electric Prunes e Who quanto di Talking Heads, e completamente rock è pure ‘Fire Escape‘, che ricorda Arthur Brown ed i Rolling Stones, ma in evidenza c’è soprattutto ‘Ventriloquist’, miglior brano del disco, canticchiabile all’infinito – una canzone dalla statura del classico minore… – che cita splendidamente Lou Reed, mentre ‘Baby I’ve got News for You’ invece poteva stare nel repertorio dei Kinks del 1966, e la conclusiva ballata ‘Bottle Up’ ci saluta in grande stile.
Ci tocca sottolineare che il calarsi nel passato, per gli artisti, è inevitabilmente un modo per trovare ispirazione, e nel caso di Stoltz le cose migliori sono proprio quelle più legate agli anni 60, senza che questo sminuisca necessariamente alle nostre orecchie il suo lavoro.
Autore: Fausto Turi