Dopo 20 anni e più di scorribande creative ai margini del punk, che hanno fruttato decine (più di due almeno) di album, non è più tempo di aspettarsi un disco all’anno (o anche più, come un tempo) da Jad Fair, o meglio dai suoi Half Japanese (l’ultimo fu “Hello” nel 2001). Che è una realtà straordinariamente attuale, come daniel Johnston, suo “nerd brother” virtuale, e pochissime altre (No Means No, tanto per fare un nome) di quelle che hanno avuto il loro start-up proprio a ridosso della prima esplosione punk.
Ed è proprio ad allora, 1980 e poco oltre, che risale questa ristampa. Il nome, prima ancora che appropriato (alla luce di ciò che ne stiamo per dire), corrisponde testualmente al titolo di album (“Loud”) e successivo EP (“Horrible”), più qualche bonus track in quella che è l’ennesima – e diversissima – release della Drag City da alcuni mesi a questa parte. Da allora, comunque, ne sono cambiate di cose, stilisticamente, per Fair (e soci), oggi noto per un brillante songwriting capace di infondere cristalline creazioni pop su un background di inequivocabile estrazione punk.
Quel punk che invece ritroviamo in questa ristampa, sorta di embrione su cui le preziosi intuizioni a seguire sarebbero germogliate. E’ un sound profondamente acerbo, caotico e pesantemente lo-fi quello di “Loud and Horrible”, eppur distante anni luce da quelle che si potrebbero immaginare come tipiche “early hits” di stampo hardcore-punk. Le 29 canzoni qui presenti, pressochè indistinguibili l’una dall’altra (di durata tra i 55 secondi e gli oltre 6 minuti di ‘No Danger’), sembrano, 20 anni prima, ciò per cui gli Old Time Relijun oggi si sono costruiti un nome: un selvaggio e atemporale blues-punk (anche se in forma di psicotiche schegge più che di brani –non dico canzoni – veri e propri) che, visto quanto già ampiamente detto nel tempo su De Dionyso e soci, non può trovare altro riferimento a ritroso se non nei Birthday Party e, ancor prima, nel motore primo – Captain Beefheart – di queste scelleratezze così ancestrali e così proiettate avanti nello sguardo.
Fa però uno strano effetto risentire pezzi del genere. Tanto la pessima registrazione, quanto la consapevolezza di ciò che Fair avrebbe suonato poi, quanto ancora la connaturata incompiutezza di questi brani rendono “Loud and Horrible” un disco “difficile” (ma se d’altra parte non lo fosse, qualcosa avrebbe raccolto pure allora, benchè molto più sui generis di oggi), appetibile sì a chi cercasse disperatamente di compendiare in uno stesso luogo fisico le tonnellate di materiale a firma Fair/Half Japanese (i due dischi uscirono solo in vinile, ovviamente introvabili nelle loro edizioni originarie), ma poco altro. Penso che anche Jad vi consiglierebbe di cercare, nel suo materiale, quello più recente.
Autore: Bob Villani