La regola, in certi casi, non viene confermata dall’eccezione: un background sofferente genera, quasi sempre, un album di buon livello. Sarà stata la forte depressione del frontman dei QOTSA Josh Homme; sarà il carnet di alto livello (Trent Reznor, Elton John, Mark Lanegan, Alex Turner, Jake Shears); saranno i ritorni di Nick Oliveri al basso e di Dave Grohl alla batteria; sarà che il titolo dell’album, “…like a Clockwork” non rispecchi fedelmente i tempi presi dalla band (i sei anni d’attesa dall’ultimo soporifero lavoro “Era Vulgaris” non sono degni di un “orologio” svizzero). Una serie di fattori che ci mettono di fronte ad un lavoro apprezzabile dei Queens of the Stone Age, non ai livelli del fondamentale “Song for the Deaf”, ma carico della versatilità che non ti aspetti dal gruppo americano. La formazione base è la solita, con Josh Homme, Troy Van Leeuwen, Dean Fertita e Michael Shuman, fatta esclusione per il batterista Joey Castillo che ha abbandonato la partita durante le session, lasciando spazio al folgorante tambureggiare (ma solo per il disco, non sarà nel tour) di Dave Grohl, con un gran raduno di talenti ad aumentare lo spessore di “…like a Clockwork”: intorno a Homme si sono riuniti, infatti, artisti del calibro di Trent Reznor (Nine Inch Nails), Mark Lanegan, Alex Turner (Arctic Monkeys), il “vecchio” bassista Nick Oliveri e Sir Elton John che, oltre a offrire voce e piano al pezzo “supercollaborativo” Fairweather Friends, ha definito l’album “il miglior disco rock degli ultimi 5 anni.”
Bastano i primi 30 secondi del disco per ritrovarsi catapultati in atmosfera Black Sabbath, ci si convince immediatamente che i Queens of the Stone Age si sono ricalati nella “nebbia” ipnotica loro marchio di fabbrica. Il pezzo d’apertura, “Keep your eyes peeled”, con il suo riff lento di chitarra stoner e gli spasmi improvvisi di batteria sembra figlio di una fusione tra le sonorità degli Alice in Chains e di Ozzy Osbourne. Il pop-rock, prettamente da classifica, di “I sat by ocean” perde in potenza ma guadagna in orecchiabilità, sempre in pieno stile “Stone Age”. “The vampyre of time and memory” è la prima di una serie di meravigliose ballate noir malinconiche presenti nel disco, toni più calmi e melodici, come in “Kalopsia” (che vede la partecipazione di Trent Reznor), brano in piena tradizione indie anni ’90, ritornello energico incluso, che rappresenta il picco più alto del lavoro QOTSA .
“If I had a tail” e “My God s the sun”, primo singolo lanciato, segnano la continuità con il lucente passato remoto della band, tradizione arricchita dalla potente batteria di David Grohl, in piena influenza Foo Fighters. Tradizione, pausa melanconica con “Kalopsia” e poi due pezzi con passaggi in falsetto, la sorpresa acid che ti prende alla sprovvista. “Fairweather Friends” ha il supporto del piano di Sir Elton John, insieme ad un dispiegamento di forze non indifferente: insieme al baronetto inglese partecipano all’allegra rimpatriata Mark Lanegan, Nick Oliveri e lo stesso Reznor, in una potente ascesa tra acid rock e riffoni arrembanti, dal finale ironico e “stridente”. “Smooth sailing”, a dispetto del titolo, si apre le porte del glam con un falsetto anarchico, con un flusso musicale sregolato quasi figlio del acid funk newyorkese: l’esperimento che non ti aspetti dai QOTSA, ma che di certo non ti dispiace.
Il disco, dopo frenetiche rincorse ed un dispendioso consumo di energie, si conclude con “I appear missing”, l’ennesima ballata noir in solitudine che dà tutta l’impressione di essere stati catapultati nel bel mezzo di una tempesta trascinante, e con il meraviglioso pezzo finale “…like clockwork”, il meritato riposo meditativo, dolce e rilassante, dopo dieci tracce con il fiato sempre in sospeso.
Ritmi rock spigolosi e primordiali, ballate melanconiche e musicalità ad alto livello emozionale, il tutto compresso in dieci brani che riposizionano, dopo la caduta di “Era Vulgaris”, i Queens of the Stone Age nel posto che gli spetta: i vertici assoluti del rock contemporaneo.
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autore: Natale De Gregorio