I Mini Mansions sono uno dei tanti progetti che gravitano nel’orbita dei Queens of the Stone Age. In questo caso è stato il bassista Michael Shuman che con due compagni, Zach Dawes e Tyler Parkford, ha confezionato quest’album orecchiabile e ben curato. Dodici tracce che suonano come un crossover psico-pop tra John Lennon, Syd Barrett e Brian Wilson, non senza qui e là una punta di ruvidezza in stile QTSA. Mini Mansions si sviluppa attraverso l’interazione e alle volte l’accumulo di tastiere, basso e batteria (la chitarra fa capolino solo qui e là) con l’ambizione di emulare il sogno musicale del Pet Sounds o del White Album.
Si sa che affrontare questo tipo di operazione e come avventurarsi su di un campo minato. Avere modelli di riferimento troppo espliciti può rappresentare una debolezza e la musica rischiare di per sé la prevedibilità. Per nostra fortuna Mini Mansion è un album coinvolgente. Shuman e compagni iniziano in modo promettente, con la linea di basso ronzante e il suono inquietante di un pianoforte di Vignette #1. The Room Outside con il suo organo e le lussureggianti armonie vocali lancia altri segnali sul versante pschichedelico, disegnando un ideale terreno d’incontro tra Pink Floyd e Beach Boys. In Kiddie Hypnogogia un ritornello saltellante di pianoforte lascia il posto ad una riff acido che si fa poi indolente e sognante e potremmo continuare di questo passo. Melodie oniriche, atmosfere e voci confuse, che galleggiano quasi sospese per aria. Colpisce soprattutto, sia nei pezzi più lenti sia in quelli più movimentati, l’uso suggestivo delle tastiere che trasmettono un deciso tocco di revival beatlesiano.
Autore: Alfredo Amodeo