Notte di tempesta il 13 luglio nel cielo milanese: su tutta l’area metropolitana si addensavano nubi minacciose e tuoni piuttosto inquietanti, ma soprattutto lampi e fulmini da abbagliare l’intera platea che ha sfidato il meteo per assistere alla data milanese del nuovo tour dei Sigur Ros, la band rivelazione di questi anni che dall’Islanda ha portato melodie inedite in giro per il mondo.
E allora l’ambientazione metereologica, nemmeno fosse preparato apposta, sembra essere la più adatta per una serata di musica suggestiva all’Arena Civica, nel Parco Sempione, cuore verde di Milano, tanto che veder suonare la band con i fulmini ad accompagnarla (e senza che per tutta la durata del concerto cada una goccia!) diventa davvero un’esperienza.
“Jónsi” Þór Birgisson, Georg Hólm, Orri Páll Dýrason, Kjartan Sveinsson, rispettivamente vocalist, bassista, batterista e tastierista del gruppo, suonano ormai in forma consolidata con le Amiina, quartetto di archi e violini tutto al femminile, e per l’occasione esibiscono a Milano anche un quartetto di fiati, con trombe e sax, che compare durante la terza canzone del concerto, e diverte il pubblico per il loro abbigliamento che ricorda il branco protagonista di Arancia Meccanica.
La band, che nei suoi suoni è sempre intimista e malinconica, sembra voler sfoggiare a Milano il suo volto più “solare” e allegro: palloni di luce fanno parte fissa della scenografia, e durante il concerto si alternano momenti di autentico spettacolo popolare come il lancio di coriandoli o la cantata collettiva, in stile canzone popolare, di un inedito che i Sigur Ros regalano durante il loro bis.
C’è spazio comunque per le sonorità a cui i quattro hanno abituato e che hanno conquistato da qualche anno le platee di tutto il mondo: si inizia con Svefn-g-englar, il primo vero singolo di successo dell’album Ágætis byrjun (che, nonostante il titolo che significa “Un buon inizio” non è il loro primo album) anche se è quello che li ha fatti conoscere al grande pubblico. Seguono Glósóli, grande pezzo suggestivo tratto da Takk, il loro terzo e più famoso album, del 2005, e poi due canzoni tratte dal nuovo album in uscita in questi giorni, Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust, seguite da Hoppípolla, l’altro bellissimo singolo di Takk, dove le tastiere e gli archi fanno la parte da leoni. Seguono ancora tre canzoni nuove, bellissime e dense di melodia, ma anche piene del nuovo taglio più rock che i Sigur sembrano aver impresso alla loro produzione, e poi Sæglópur, sempre da Takk, e ancora canzoni nuove. Il basso da qui la melodica di base, sempre uguale e ripetitiva, sulla quale la voce bianca, quasi fatata di Jonsi e le tastiere infilano le loro digressioni. Dopo la ballata popolare e cantata da tutti i 12 componenti la band quasi a cappella, il concerto si chiude con Popplagið, tratta da ( ), l’album senza titolo del 2002, forse il più bello della loro carriera.
Se è vero che le canzoni dei Sigur Ros possono apprezzarsi pienamente soltanto al buio e nell’isolamento più integrale dal mondo esterno, probabilmente l’ambientazione da concerto non avrà aiutato molto il pubblico a fruire pienamente della magia di questo gruppo unico al mondo. I quattro della band, forse consapevoli di questo, provano a dare al concerto un’impronta più rock, ma mantenendosi sempre e comunque all’interno del loro stile, e alla fine il risultato è un ibrido che convince comunque, benché la loro musica si adatti forse più ai teatri chiusi o a cornici meno dispersive di quelle di una curva da stadio. Di certo, un’esibizione dei Sigur Ros è comunque un evento che merita, perché mostra l’alchimia incredibile da cui nascono quelle sonorità che tuttora sono impareggiabili nel panorama musicale contemporaneo.
Autore: Francesco Postiglione
www.sigur-ros.co.uk