The Times (UK) ha definito i black midi “la band più eccitante del 2019” e Schlagenheim, loro disco d’esordio, è stato inserito da New York Times, Pitchfork, Stereogum, SPIN e altri nelle classifiche dei migliori album del 2019. Due anni dopo il disco di cui hanno parlato tutti (e anche Freak Out vi ha dedicato un lungo articolo) i talentuosissimi ventenni Geordie Greep (chitarra, voce principale), Cameron Picton (basso, voce), and Morgan Simpson (batteria), privi del chitarrista originale Matt Kwasniewski-Kelvin, lontano dal gruppo per concentrarsi sulla sua salute mentale, ovvero i Black Midi, pubblicano ancora per Rough Trade Records (Strokes, Libertines, Antony and the Jonsons) questo secondo disco, Cavalcade, che contiene interessanti novità.
Anzitutto, l’assenza di Matt li ha spinti a espandere il loro suono, ampliando la gamma degli strumenti e ricorrendo perciò al sassofonista Kaidi Akinnibi e al tastierista Seth Evans.
I black midi hanno immaginato Cavalcade quasi come un concept album, che racconta una serie di personaggi, da un leader di un culto decaduto a un antico cadavere ritrovato in una miniera di diamanti alla leggendaria cantante di cabaret Marlene Dietrich. “Quando ascolti, puoi immaginarti tutti i personaggi formare una sorta di cavalcata. Ognuno racconta la propria storia e al termine di ogni traccia ti sorpassa, sostituito dal successivo.” commenta Picton.
Geordie invece ha raccontato l’atmosfera in cui è nato il secondo disco: “l’enfasi mentre facevamo e sequenzizzavamo Cavalcade era quella di fare musica che fosse drammatica e eccitante allo stesso tempo”. Metà del disco è stato scritto dai singoli membri a casa e messo a punto durante le prove”.
Dopo aver registrato il singolo d’esordio, John L, accompagnato anche dal video, con la produttrice italiana Marta Salogni a Londra, la band si è ritrovata nell’estate 2020 agli Hellfire Studios, sulle montagne di Dublino, sotto la guida di John ‘Spud’ Murphy.
Geordie commenta la produzione di Murphy così: “In molti album o ascolti un suono straordinario o un album lo-fi pieno di effetti folli. E ho pensato, ‘’Perché non fare un album che combini le due cose?’ Questa era una delle idee principali e John ne era entusiasta.”
Senza dubbio l’album è composito, quasi diviso in due fra i pezzi nello stile ormai proprio della band, quella sorta di post-prog e post-metal che li rende unici (nonostante le ascendenze spiccate dei Sonic Youth) e ha fatto gridare al capolavoro per il primo disco anche se rende la musica dei Black Midi quanto mai antimelodica e cagofonica, e altri pezzi in cui si cerca addirittura melodie classiche, da dramma, ballate lente, che in Schlagenheim erano assenti.
Totalmente affine al primo disco è per esempio il singolo John L., forse in quanto singolo di lancio vagamente più strutturato e meno isterico della solita loro musica.
La storia raccontata è una commedia nera su ciò che accade ai leader di una setta quando i loro seguaci si scagliano contro di loro: godetevi la descrizione della storia dal video diretto dalla coreografa Nina McNeely, nota per il suo lavoro in Sledgehammer di Rihanna e Climax di Gaspar Noe, che fa lo sforzo non banale di cercare movimenti coordinati di danza che accompagnino lo scoordinato ritmo isterico della canzone.
C’è già in John L, prima vera canzone del disco, tutta la musica di Black Midi: una chitarra dal riff identico e una batteria frenetica, su cui cercano di sovrastare infiniti altri strumenti e rumori, mentre la voce non canta ma narra.
Marlene Dietrich è la prima sorpresa: Geordie qui canta, e la canzone sembra nata negli anni ’30, ad ovvio omaggio della protagonista della storia
Già il titolo folle fa capire che Chondromalcia Patella è un’altra miscellanea musicale tipica del sound black midi, una satura latina, se possibile, di tutti i ritmi e gli strumenti musicali del rock. Ma c’è una sorpresa a metà traccia: la canzone si trasforma in un nuovo cantato melodico accompagnato da piano, per poi diventare quasi acid jazz. E poi nel finale torna isterica. Già con queste prime tre tracce i Black Midi dimostrano due cose: sono sempre loro, più folli e istrionici sperimentalisti che mai, esono pieni di talento, un virtuosismo che hanno dirottato verso la realizzazione di un quasi-nuovo genere. Immaginate i Talking Heads dei primi tempi esasperati al massimo e contaminati da Nine Inch Nails e Sonic Youth insieme: ecco così si avrebbe una idea, ma ancora molto vaga, dei Black Midi, che a loro modo potrebbero diventare per questa follia istrionico-antimelodica un classico del ventunesimo secolo, fra qualche disco in più.
Slow e Dethroned mettono in mostra più che mai la bravura virtuosa di Simpson alla batteria, vero genio della band: arrivati a questo punto del disco si ha anche la sensazione, rispetto al primo disco, che la vena acid jazz, una sorta di inquadramento del loro isterismo musicale in qualcosa di più strutturato, sia prevalente. Al confronto, i due dischi sembrano mostrare un progredire verso il ritrovamento di una forma, dall’iniziale matassa magmatica di suoni e ritmi che era Schlagenheim.
Ciò è tanto più confermato dalla presenza di ballate, come Diamond Stuff, dove la forma canzone classica decisamente prevale, e i Black Midi sembrano quasi qui aver fatto una melodia vera e propria, anche se diventa progressive nel finale.
Hogwash and Balderdash è invece un altro sgangherato e rumoroso pezzo black midi, mentre Ascending Forth tenta l’impossibile, ovvero ricercare quel classicismo anni ’30 tramite violini e archi, inizialmente in addirittura assenza di batteria, con Geordie che torna a esibirsi nel canto e non nel parlato (meglio quando rimane nel parlato, a dir la verità).
Insomma, è un disco a due anime, volutamente contrastanti, volutamente incapaci di comporsi. Tutt’altro che strano, per i Black Midi, i quali sembrano cercare, rincorrere, voler creare in musica l’essenza della contraddizione in sé.
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autore: Francesco Postiglione