I Children of Bodom sono uno dei gruppi metal più controversi degli ultimi quindici anni. Per una serie di motivazioni, quali la difficile catalogazione della loro musica dentro l’etichetta di un metal ben definito, la particolare cura estetica dei suoi membri e del leader Alexi Laiho, e l’utilizzo di melodie orecchiabili accompagnate da tastiere, risultano essere amati da una schiera di inossidabili fan tanto quanto disprezzati da molti di coloro che si ritengono fruitori dell’unico metal vero e puro e li ritengono nient’altro che una band che ha cercato, e che cerca tutt’ora, di calvacare un trend o una moda.
Niente di più sbagliato, a mio avviso, dal momento che i Children of Bodom negli ultimi anni si sono distinti, nel bene o nel male, da quel calderone di band che ha cercato in molti casi di imitarli perdendo in partenza contro un gruppo come il loro, che quantomeno è riuscito ad imprimere ai propri album un vero e proprio inimitabile marchio di fabbrica.
Halo of Blood è un album estremamente duro, si può dire che è quasi un ritorno alle origini per la band, elemento che di sicuro delizierà le orecchie dei loro inossidabili fan, e presenta una componente black metal molto più marcata che negli ultimi lavori. Non lasciatevi ingannare dal fatto che nell’album sia presente la canzone più lenta mai incisa dai Children of Bodom (Dead man’s Hand on You), tutto il resto è un death/black metal melodico da togliere il respiro. Il trentatreenne Alexi Laiho, figura intorno alla quale ruotano i suoi Children of Bodom, è in ottima forma sia come cantante che come chitarrista e la lineup dimostra di essere più che consolidata, visto che dagli esordi è rimasta quasi del tutto invariata. Superata la parentesi gotico-melodica di Blooddrunk del 2007 e la rovinosa esperienza di Skeletons in the Closet (album di cover) e di Reckless Relentless Forever del 2011, che ha riscontrato pareri pessimi dalla critica e contrastanti dal pubblico, Halo of Blood è davvero una delle migliori cose date alle stampe dai finlandesi negli ultimi anni, non soltanto per demerito delle uscite precedenti, ma anche e soprattutto per la luce propria di cui brilla quest album. Non è un capolavoro, si discosta da questa qualifica per la mancanza di numerose canzoni veramente eccezionali tanto da divenire dei nuovi classici (eccezion fatta per Halo of Blood, senza dubbio la migliore del disco, Scream for Silence e Transference, davvero ispiratissime), ma è un album godibilissimo che consente ai nostri un dignitosissimo ritorno sulle scene musicali. Degne di nota sicuramente sono l’estenuante All Twisted e l’opener Waste of Skin, le cui trame si snodano in una bellissima melodia suonata dalla chitarra di Laiho. Divertentissima è invece ”Crazy Nights” contenuta nell’edizione deluxe, cover degli eroi giapponesi dell’heavy metal, i Loudness, qui riproposta in chiave tipicamente CoB.
In conclusione, si tratta di una vera e propria summa della loro intera discografia, un album maturo che nella durezza ed immediatezza compositiva ritorna alle origini della loro musica senza però dimenticare di aver attraversato più di una decade e di averne assorbito suoni, melodie e tendenze musicali. Potrebbe essere il loro album definitivo, un disco con testi molto maturi rispetto a quelli di una volta, incentrati sulla morte e sulla tristezza dell’abbandono, che guarda avanti con un occhio rivolto al passato, per recuperare quelle sonorità tipicamente scandinave da troppo tempo ormai accantonate. Di sicuro è il meglio che potessero darci oggi, dopo quasi vent’anni di onorata carriera.
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autore: Nicola Vitale