Sufjan Stevens ogni tanto spiazza tutti. Come quando incise Michigan, e poi Illinois, e con quella faccia da ragazzo serio che si ritrova dichiarò candidamente che avrebbe continuato dedicando un disco alla musica di ciascuno degli Stati Uniti e ci cascammo un po’ tutti, oppure quando mise da parte il new folk voce e chitarra di cui era primo alfiere per trafficare coi sintetizzatori. Non è tuttavia un provocatore Sufjan Stevens, e non gli interessano le furbate promozionali; l’impressione è che si muova di volta in volta seguendo l’ispirazione, con alle spalle una propria etichetta discografica e dunque senza dover rendere conto a nessuno.
Aporia sta facendo parlare molto di sé perché in effetti si: come annunciato, è davvero un disco new age strumentale, il genere musicale forse meno cool dell’Universo, tutta suoni sintetici lucidati, ritmi quieti e toni meditativi d’ispirazione naturalistica ed esotica, giusta per yoga e meditazione – che paradossalmente ad alcuni provoca invece un nervosismo incontenibile… – che ebbe la sua stagione d’oro nella seconda metà dei 70 con Vangelis, Clannad, Philip Glass e Mike Oldfield.
Aporia è un disco di 21 tracce che dura 42 minuti: brevi composizioni dunque, e tuttavia bisogna dire che il disco appare come un corpus unico, un’unica suite organica, compiuta, da mandar giù tutta d’un sorso: un’esperienza meditativa, trascendente, lunare, che asseconda il relax; ma anche una sperimentazione delle possibilità offerte in una chiave attuale da questo genere di musica, che da sempre interessa Sufjan Stevens ed il suo patrigno Lowell Brams, i quali a quanto dichiarato ci avrebbero lavorato nei ritagli di tempo, negli ultimi anni.
Ed infatti va detto che la sensazione è proprio quella di un progetto laterale realizzato a tempo perso, un bizzarro divertissement destinato a rimanere corpo estraneo della discografia di Stevens, ma anche tutto sommato un lavoro digeribile: di durata contenuta, su spartiti non particolarmente ambiziosi e privo di certa tipica autoreferenzialità e seriosità della new age, mentre i suoni prodotti, piuttosto concreti, ottenuti a quanto pare da synth valvolari, senza quel repellente, dozzinale effetto midi; questi elementi conferiscono dignità al lavoro, che ad ogni modo non crediamo sia destinato a lasciare un segno, va detto, ed è sconsigliato dunque a chi nella musica apprezza ritmo, sintesi, timbri marcati e fisicità.
Automatico associare la musica new age alle immagini che questa può evocare, un processo personale che può dare risultati diversi per ciascuno; in questo caso per il sottoscritto sarebbero corpi celesti in rotazione, spazi siderali, stazioni orbitanti, galassie in movimento ed eclissi, mentre il videoclip ufficiale di ‘Unlimited‘ mostra dei tramonti trattati con filtri digitali, mentre quello di ‘The Runaround‘ addirittura le acrobazie al rallentatore di un gruppo di bikers!
Il disco come spiegato si presta molto bene alla meditazione, e richiede un ascolto avvolgente, non distratto. Nei live di Sufjan Stevens questo repertorio potrebbe al limite occupare una parte circoscritta dello show, col supporto del buio e delle luci colorate, dato il suo valore psichedelico; rimane tuttavia da verificare come i fans storici del cantautore riceveranno questo materiale così particolare.
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autore: Fausto Turi