Nel variegatissimo mondo alternative/indie/rock italiano, uno dei nomi di maggior richiamo degli ultimi anni è certamente quello dei Ministri. Terzetto milanese che ha da poco pubblicato un nuovo album potente e sfacciatamente rock, Per Un Passato Migliore, colmo di speranza e pieno di voglia di fare. Parliamo del disco, del pop, della politica e di come si registra un disco, prima del concerto della band alla Galleria19 di Napoli, con il chitarrista e songwriter, Federico Dragogna.
Partendo dal titolo del vostro disco, pensavo che dall’uscita del vostro primo album, fino ad oggi, c’è un po’ di storia di mezzo. Oggi avete fan ventenni che al tempo avevano quattordici, sedici anni. Come vi rapportate con un pubblico diverso dalla vostra età, ma che si rispecchia nelle vostre canzoni?
Dovrei fare un’intervista a qualcuno di quei fan, sarebbe molto interessante chiedere a loro come si rapportano a noi. Da un altro punto di vista posso dirti che non avevamo nessuna idea delle persone a cui stessimo parlando, mentre adesso col tempo abbiamo capito, e sto capendo ancora adesso che siamo in tour, che c’è un vantaggio: ci sentiamo coetanei di tutt’altro, cioè ho trent’anni e faccio fatica a parlare con i miei coetanei che pensano che sia già finito tutto: vita, speranza e così via.
Capita anche alle nuove generazioni: si è sfiduciati verso la propria generazione ma ci si rispecchia in un’altra. I ventenni odiano gli altri ventenni ma si rispecchiano nei trentenni, i trentenni hanno difficoltà a rapportarsi con i coetanei e guardano con curiosità ai ventenni: questo vi stimola in maniera diversa rispetto agli inizi, in quanto alla scrittura, cercare di essere vicini e comprensibili a tutte le fasce d’età che vi ascoltano?
Non ci siamo mai posti questo problema, la persona più importante con cui mi relaziono nella scrittura è Davide. Mi importa che capisca lui che deve cantare i testi. Poi secondo me non è necessario che mi capiscano tutti: non sono un saggista, scrivo canzoni! Però perché le canzoni siano credibili, più che comprensibili, devi avere ancora uno spirito che tradizionalmente appartiene al rock, una sorta di entusiasmo anche senza senso, una specie di rabbia ed energia che se le riguardi seduto al tavolo, rispetto all’equilibrio della tua vita potrebbero anche non voler dir niente. Intercettiamo un momento della giornata o della vita delle persone che è abbastanza atipico e va oltre la comprensione, secondo me. Questo è il motivo per cui molte canzoni vengono esaltate del tipo «Bellissima quella canzone! Figata! …che cazzo vuol dire?», ce ne sono molte, ci sta, è normale.
Invece dal punto di vista della produzione musicale, esistono nuovi acquisti di strumenti, applicazioni, oggetti che vi stimolano? Come nasce un suono dei Ministri?
Solitamente siamo un misto di sostenibilità e pigrizia quando componiamo: siamo troppo poco organizzati per avere fissazioni da NERD del tipo «C’è questo nuovo pedalino che fa questa cosa, quest’altro…», No. facciamo cagare da questo punto di vista.
Il disco l’abbiamo preparato in sala con: Basso nell’amplificatore del basso, a volte cambiava e noi non ce ne accorgevamo, io idem nell’ampli della chitarra, quindi il tutto doveva stare assieme come una pasta al pomodoro, senza aggiungere cazzate. Il punto è trovare qualcuno, nel nostro caso Tommy Colliva, che facesse stare in piedi questo equilibrio di ciccia e di urla. Semplicemente quando vai da un produttore dici: «Ok, questi sono i pezzi, suoniamo così, ora vogliamo una cassa che spinge tantissimo, la chitarra che spinge tantissimo, il basso che spinge tantissimo e la voce che spinge tantissimo, adesso fai te». È un po’ la classica coperta da tirare di qua e di là.
E invece qual è la differenza tra produrre ed essere prodotti?
In realtà questo disco lo abbiamo prodotto da un punto di vista artistico: strutture, cosa succedeva, suoni, ma proprio le parti del disco, quindi in questo senso c’era già la produzione. Quindi il lavoro di Tommy è stato soprattutto ordine e piazzare i microfoni: siamo entrati in studio, abbiamo registrato, quello che veniva registrato era il disco. Abbiamo aggiunto poche cose, ma era quella la base. Avevamo già fatto dei provini che stavano in piedi, il passaggio dai provini alla versione definitiva non è una cosa scontata, come un vino comprato in Liguria, lo porti a Milano e fa schifo.
In passato ho ascoltato la vostra cover di Uomini Soli dei Pooh. Esistono altre canzoni pop che vorreste coverizzare, vi hanno incuriosito, o canzoni vostre che potrebbero diventare successi pop? Come scambiereste il vostro rock con il pop di qualcun altro?
Dal punto di vista della conoscenza, siamo dei poppettari assurdi: devo dire che Divi ha una conoscenza del pop mediofamoso degli ultimi vent’anni clamoroso, del tipo robe italiane misconosciute. Conosciamo a memoria un sacco…a volte anche di merda, dall’altra parte io ho una mania e una passione per il pop femminile, di Britney conosco tantissimo, ero un grande fan delle t.A.T.u., so a memoria otto pezzi di Lene Marlin, so più pezzi a memoria di Britney Spears che dei Black Sabbath, ma anche degli Afterhours. Non abbiamo limiti di questo tipo, questo è il motivo per cui forse funzionano i nostri pezzi, perché cerchiamo la melodia: sembrare strani è un problema di chi non sta bene con se stessi o chi ha a che fare con un pubblico che si aspetta il rispetto di un certo tipo di codici. Per fortuna da noi ci si aspetta sono solo un certo tipo di approccio al vivere una serie di questioni e un po’ di energia dal vivo. Ecco: dal vivo non siamo capaci di suonare piano, questo non ci rende pop, ma il nostro tipo di ricerca è pop. Quando a 19 anni facevo delle prove di produzione a casa e chiamavo Divi a cantare abbiamo registrato anche Hero di Enrique Iglesias: impari tanto dal grande pop americano perché, molto banalmente, è scritto bene. Sono un grande fan di Elton John, per me esistono soltanto le canzoni che stanno in piedi, scritte veramente bene. Il Belcanto, certamente è una canzone nostra che potrebbe diventare pop, tant’è che ora la facciamo solo con l’acustica e basta, funziona! Potrebbe prenderla uno dei tanti talent X Factoriani e renderla qualcosa di quel genere. Certo, noi ci mettiamo delle parole smaccatamente di concetto, delle frasi che creerebbero dei problemi. Una frase come «Ci meritiamo le stragi» in un pezzo pop può essere un problema, però dalla parte armonica e melodica siamo abbastanza tradizionali, anche se ascolto delle cose lontanissime e complessissime non le ho mai applicate: i Ministri non fanno questo per sperimentare nuovi suoni, a noi interessano le nostre canzoni, quello che diciamo e come lo diciamo, sappiamo di non essere innovativi, diciamo.
Ieri ascoltavo il disco nuovo dei Paramore che hanno perso due elementi della band da un disco all’altro…
Ma c’è ancora la tipa?
Si, non conosco le facce degli altri…
…ah, manco io.
…comunque, i Paramore hanno pubblicato il disco nuovo che è andato in classifica, sulla pagina FaceBook i loro fan hanno iniziato a scrivere «Si, ma il primo disco era meglio», «Fate roba da radio». A voi è mai successo che i fan troppo integralisti preferissero il vostro passato al vostro presente?
Certo che ci sono i fan integralisti, con questo disco molto meno, essendo questo disco molto rockettoso. Il rock in Italia viene sempre visto come qualcosa delle origini da cui allontanarsi, come se fossimo veramente passati in radio. Certo, adesso molte radio ci passano, tipo Virgin Radio, non è quello il nostro obiettivo…
Succede che qualcuno si lamenti, ma noi abbiamo un rapporto di comunicazione su internet sempre uguale a se stesso, non abbiamo mai chiesto di farci votare, pubblicato recensioni, non abbiamo mai parlato dei nostri “successi”, non abbiamo neanche mai detto di comprare il disco. Quando siamo finiti in classifica abbiamo scritto «VOI siete finiti in classifica», la gente deve capire che sono le persone che fanno questi gradini non la band: se finiamo in classifica è perché la gente ci ha comprati, altrimenti non ci saremmo finiti. Esistiamo se la gente viene, siamo un riflesso di chi ci segue, se stasera non viene nessuno, i Ministri non esistono. Se il pubblico si accorge di essere protagonista non ci sono questi problemi, neanche nel passaggio alla Major, caricavamo il pubblico di responsabilità.
Chi vorresti come presidente della repubblica?
Ti direi Pisapia, perché è stato il mio unico voto felice. L’unico voto che mi ha ripagato, mi ha dato quello che mi aspettavo, piccole cose, anche se non funziona tutto perfettamente. Io voterei sempre Pisapia ovunque.
Il presidente della repubblica musicale italiana? Tutta la repubblica musicale italiana, dall’Hip hop, fino all’alternative, fino al pop da classifica.
Difficile scegliere una persona sola, non sono particolarmente rispettoso dei vecchi della musica italiana, anzi sono abbastanza gerontofobo. Non so…forse Dalla, era abbastanza pazzo da poterlo fare, poi anche dopo l’errore del TG3 che sbagliò la grafica direi Vinicio Capossela, così abbiamo anche la grafica nel telegiornale giusto.
Una canzone di qualcun altro che vorreste avere scritto?
By This River di Brian Eno.
L’avete suonata con Morgan a Invece No su DeeJayTV, ma quanto è durata? In TV sono andati solo 10 minuti.
Innanzitutto bisogna avere la canzone giusta e vorremmo arrivare là non a fare gli strani ma a giocarcela con gli altri artisti. Il punto grande che ci si dimentica nell’indie italiano è che la gente che va a Sanremo, ha tante cose che mancano, a volte onestà, energia…ma sono grandi professionisti a livello di tutto: intonazione, tenere il palco. Vorremmo arrivare lì e spaccare tutto anche su quello, non vorremmo sembrare degli animali strani che finiscono sul palco che si sente male, son stonati e viene da pensare «ci rappresentiamo così sul palco di Sanremo?». Vorremmo fare il figurone dei SubsOnicA, per dire. Se il festival di Sanremo ci sarà ancora e la nostra strada dovesse passare di là, ci sta, non dispiacerebbe.
È durata davvero un’ora, grandi viaggi con Morgan. Poi ti direi, per quanto io un po’ non lo sopporti, che trovo un grande equilibrio in Fields Of Gold e Russians di Sting, un grande equilibrio sopra il tempo.
Invece c’è un disco che vorresti produrre?
Ti dico qualcosa di italiano: vorrei produrre qualcosa di Maria Antonietta, una giovane cantautrice di Pesaro che è uscita fuori…ma gliel’ho anche detto quindi magari succede per davvero, poi andando proprio
oltre… Vasco, i primi dieci anni di Vasco, visto che da piccolo ne ero fan. Mi piacerebbe prenderlo da parte perché mi sembra che ci sia qualcosa intorno che lo porta altrove. Mi verrebbe da dirgli «sediamoci da qualche parte e parliamone», gli farei riguardare i vecchi pezzi, è come uno zio che ho perso per strada. Però ha fatto delle cose pazzesche, prima di produrgli un disco gli farei riascoltare i primi suoi sei dischi, ma anche qualcosa dopo, fino ai primi anni ’90.
Ogni anno a Sanremo c’è una slot di persone “strane”, alternative: gli Afterhours nel 2009, i Marta Sui Tubi quest’anno. Se vi chiamassero ci pensereste?
Voi avete trent’anni, più o meno, e siete una band consolidata, avete realizzato dei dischi alle spalle, molte soddisfazioni, avete ancora dei sogni?
Mi piacerebbe fare un disco con tanto tempo e in un altro posto. Abbiamo sempre registrato a Milano: avere un periodone e permettercelo. Credo che non capiterà, ma vorrei sentire le vibrazioni di un altro posto e avere tanto tempo per farlo. Un posto in cui non dover tornare a dormire a casa, dove non stacchi. Sono una persona che odia il tempo libero, per me la registrazione di un disco dura 24 ore. Follie simili ne faccio già: l’anno scorso sono andato a registrare da solo nei deserti in America, non in uno studio nel deserto, ma da solo nel deserto. Come band, ci prenderemo le soddisfazioni che riusciremo a prenderci.
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Autori: Marco Mennillo, Veronica S. Valli
Foto: Davide Visca