Ben Harper è ormai un artista affermato, uno dei pochi della sua generazione dotato di un carisma naturale che affonda le sue radici nel profondo amore per la musica e nella capacità di regalare frammenti di vita vissuta per nulla scontati. Un personaggio limpido onesto e sensibile che ha sempre unito la musica alle idee. Con i suoi 42 anni puoi immaginarlo come un vecchio amico con il quale uscire per bere una birra e parlare di come sono andate le cose, le delusioni, gli errori, le speranze.
Con Give till it’s gone l’artista californiano torna per il suo decimo album della sua carriera dopo la parentesi poco felice dei Fistful of Mercy. L’album, che non vede il coinvolgimento degli Innocent criminals o Resentless 7 le sue band di supporto, è stato inciso a Santa Monica presso il Groove Master Studios di Jackson Browne.
A vent’anni dal suo esordio Ben Harper ha poco da dover dimostrare. Si è conquistato un pubblico sempre più vasto grazie ad album coinvolgenti ed emozionanti che affondano l’ispirazione nella tradizione americana dove le sonorità black si fondono con il folk e rock.
“Give till it’s gone” condivide con gli ultimi lavori una dimensione più riflessiva, racconta la confusione e lotta di un uomo alle prese con un momento di personale cambiamento: la frustrazione per la differenza tra l’uomo che si è e quello che si cerca di diventare, la speranza nella ricerca faticosa di un senso, il desiderio di non arrendersi, di continuare a lottare.
Anche la musica riflette questo travaglio. Gli undici brani seguono la strada tracciata nel solco del rock, pur senza l’esplosività di White Lies For Dark Times.
Don’t give up on me now ha uno stupento mid tempo iniziale. In Rock N’ Roll Is Free è netta l’influenza del Neil Young elettrico, un brano che rappresenta un vero e proprio omaggio a Rockin in a free world. Clearly severerly, Waiting on a sign e Dirty little lover sono blues con un suono sporco che sarebbero stati nelle corde dei Led Zeppelin.
Spilling faith e Get there from here riportano alla mente la psichedelia di fine anni Sessanta. Il secondo che vede la partecipazione di Ringo Starr è un medley dai chiarissimi toni beatlesiani, soprattutto nella seconda parte che si sviluppa come un’ ipnotica improvvisazione strumentale. Pray That Our Love Sees the Dawn è una spendida e malinconica balata cui si unisce anche Jackson Browne. Suoni semplici così come le emozioni che suscitano.< <Non avevo mai realizzato un disco che scandisse così la linea del tempo – ha detto Harper – È una vera e propria estensione dell’ultimo anno e mezzo della mia vita, e tutti questi suoni sono ispirati alle mie esperienze. È la forma più onesta di espressione musicale che potessi realizzare>>.
Give till it’s gone non aggiunge nulla di nuovo alla carriera di Harper, è semplicemente un album di puro e alto artigianato rock senza effetti speciali. Un disco onesto che testimonia la maturità dell’uomo e del musicista. Di questi tempi non è poco.
Autore: Alfredo Amodeo