Le canzoni di Leo Folgori raccontano la vita utilizzano spesso ritmi e colori della musica latinoamericana in un preciso schema cantautorale, dualismo che rende vibrante l’album, sempre vivo, impegnato e godibile al contempo.
‘La Scimmia‘ è un brioso reggae patchanka con batteria, percussioni, strumenti elettrici e tromba che sembra alludere alla riscoperta dell’istintualità, di una fisicità primordiale che sblocchi energie ed indichi una via d’uscita all’uomo, ripiegato nei propri ingranaggi sociali stritolanti: “siamo corpi che danzano”: la scimmia, a quanto pare, siamo noi!
‘Schiena di Mulo‘ invece è il vertice lirico e suggestivo del disco. Qui la scrittura di Leo Folgori fa un balzo in avanti e ci conduce in un luogo della mente tuttavia tremendamente reale, una landa desolata e notturna che evoca forse la terra di Sardegna, in cui si aggira una creatura inquietante, spiritata: pastore, brigante o cacciatore, archetipo primordiale di ciò che non siamo più, in quanto esseri sociali metropolitani. E qui come altrove, nelle canzoni di Leo Folgori, il paesaggio è automaticamente stato dell’anima, allegoria della narrazione; il deserto di ‘Nuvole’, la sassaia di ‘Schiena di Mulo’, la metropoli funzionale de ‘La Scimmia’ e quella chiassosa e disordinata di ‘A Bailar’.
E la voce di Leo Folgori riesce ad evocare un certo tipo di aride, letterarie, sinistre atmosfere tex mex, e così ‘Nuvole‘ diviene viaggio poetico e mentale contro le proprie insicurezze, verso una rinascita, come del resto la trama del relativo videoclip sembra confermarci, col tipico linguaggio spiritato, sciamanico, simbolista, fatalista e misterioso – che ritorna anche in ‘Nuevo Mundo‘, ‘Occhio per Occhio‘, ‘Avanti Marsch‘, e che rappresenta una cifra stilistica interessante del cantautore… – su una musica della frontiera che si esplicita sempre più, un po’ come in ‘Grido’, che porta avanti al contempo un’autoriflessione ed un tema sociale: “ se resti indifferente nella polvere, di certo sei anche tu colpevole”.
C’è spazio poi per la fiesta, con i due riusciti tormentoni latinoamericani ‘Salve Regina‘ ed ‘A Bailar‘, in italiano, nelle quali ci si può divertire ad individuare anche sporadici suoni e ritmi popolari italiani. Il brano di chiusura dell’album, intitolato ‘Dov’è’, di grande delicatezza e nostalgia, ci ha ricordato molto il Fabrizio De Andrè intimo e spirituale di Anime Salve, quanto il Vinicio Capossela di ‘Ovunque Proteggi’.
Un secondo disco ben fatto per il baffuto cantautore laziale, cui forse potremmo consigliare di accentuare nella propria musica gli elementi della tradizione popolare italiana, affianco a quella sudamericana ed africana.
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autore: Fausto Turi