Nell’introduzione di “Southern Rock” di Mauro Zambellini (della collana Atlanti Musicali Giunti – edizione 2001) c’è un evocativo accostamento tra “La saga del southern rock anni ’70” e gli scritti di William Faulkner e Tennessee Williams.
Ed in effetti, quali padri del Southern Rock, i The Allman Brothers Band si possono considerare come la “Light in August” per William Faulkner quando, nelle note dell’edizione Adelphi del 2007, è annotato: “Nella mia terra la luce ha una sua qualità particolarissima; fulgida, nitida, come se venisse non dall’oggi ma dall’età classica”.
I The Allman Brothers Band, infatti, incarnano (a mio parere) la prima e massima espressione nel loro genere: non me ne vogliano gli ottimi Lynyrd Skynyrd (di “Second Helping” del 1974) e The Marshall Tucker Band (di “Searchin’ for a Rainbow” del 1975), degni alfieri della vecchia guardia, o la seconda generazione rappresentata dagli eccelsi Gov’t Mule (imprescindibili i loro “Live… With a Little Help from Our Friends” registrato, come da tradizione, la notte dell’ultimo dell’anno del 1999 e “The Georgia Bootleg Box” contenente registrazioni dell’aprile del 1996; entrambi i dischi vedono al basso ancora Allen Woody) che, con Warren Haynes, saranno legati a doppio filo proprio con i The Allman Brothers Band.
Quanto accadde però nel marzo del 1971 resta un evento musicale epocale e non replicabile; il 12 e il 13 marzo (del 1971), al Fillmore East di New York, andavano in scena i (probabilmente) più bei concerti della storia della musica incisi su disco, LP che prenderà il nome di “At Fillmore East” e che porterà quale firma proprio quella dei The Allman Brothers Band.
Più volte mi sono dovuto confrontare sull’argomento e ovviamente, nel momento in cui si fanno affermazioni così trancianti, il margine di soggettività resta ampio (io stesso non sono mai riuscito ad assegnare il gradino più alto del podio “live” a “At Fillmore East” o a “Live/Dead” dei Grateful Dead), e lo scontro più acceso l’ho sempre avuto con i sostenitori che affermavano che lo scettro, quale apice raggiunto dalla musica suonata dal vivo e incisa su disco, andasse a “Made In Japan” del Deep Purple; su queste pagine, in occasione della recensione di “= 1” dei Deep Purple si era avuto già modo di scrivere a riguardo: ‘“Made In Japan” (quest’ultimo indubbiamente tra i più riusciti e acclamati live rock in senso esteso dell’epoca sebbene – a parere di chi scrive – non superiore, ma anzi in alcuni casi inferiore, ad altre registrazioni di concerti di quel periodo quali ad esempio “Live/Dead” dei Grateful Dead, “At Fillmore East” dei The Allman Brothers Band, “How The West Was Won” dei Led Zeppelin – ancor più del ben noto “The Song Remains The Same” -, ed ancora “Absolutely Live” dei The Doors – ancor più nella versione integrata “In Concert” – il già citato “Kick Out The Jams” degli MC5, “Live At Leeds” dei The Who, “1969: The Velvet Underground Live” dei The Velvet Underground, i “Live Cream” dei Cream – se si considerano entrambi i volumi I & II –, “Jimi Plays Monterey” dei The Jimi Hendrix Experience, “The Turning Point” di John Mayall – ancor più del famoso “Jazz Blues Fusion” –, i tre volumi di “Live in Boston” dei Fleetwood Mac, “4 Way Street” a firma Crosby, Stills, Nash and Young … o “Roxy & Elsewhere” di Frank Zappa con le The Mothers of Invention – anche se in questo caso parlare di “rock” è riduttivo oltre a essere presenti overdubbing nell’incisione)’.
Resta l’indiscutibile fatto che in quel marzo del 1971, Duane Allman (chitarra e chitarra slide), Gregg Allman (piano, organo e voce), Dickey Betts (chitarra), Berry Oakley (basso), Jai Johanny Johanson (batteria e percussioni) e Butch Trucks (batteria e timpani) erano in stato di grazia e consegnavano alla storia (e ai fortunati presenti) un irripetibile esibizione, che in parte poi confluirà pure nel successivo “Eat a Peach”, disco contenente anch’esso registrazioni catturate al Fillmore East nel 1971 (dei concerti del 1971 al Fillmore East, esistono su disco versioni estese che includono oltre, alle registrazioni del 12 e 13 marzo, anche quelle del concerto del 27 giugno sempre al Fillmore East).
Basterebbero solo le monumentali “Whipping Post” (per me tra quanto di più bello si sia mai suonato dal vivo e testimoniato su disco), “In Memory of Elizabeth Reed” (da “At Filmore East”) e “Mountain Jam” (da “Eat a Peach”) per decretare la mirabile perfezione di quelle esecuzioni (per completezza va detto che negli anni sono state recuperate altre registrazioni live di quel periodo, partendo da “Live At Ludlow Garage 1970” e passando per “Live At The Atlanta International Pop Festival July 3 & 5, 1970”, “Boston Common 8/17/71”, “Stony Brook, NY 9/19/71”, “Syria Mosque: Pittsburgh, Pennsylvania January 17, 1971”…., ma per valore storico “At Fillmore East” è al contempo tanto punto di partenza quanto d’arrivo).
Ma quel 1971, così eccezionale musicalmente per i The Allman Brothers Band, si rivelò anche inverosimilmente tragico, poiché il 29 ottobre, Duane Allman (Skydog) moriva in un incidente stradale in motocicletta, privando la musica di uno dei più ispirati e dotati chitarristi di tutti i tempi; si pensi che nel 1970 Duane Allman aveva anche preso parte alle registrazioni di “Layla and Other Assorted Love Songs” con i Derek And The Dominos, lasciando il segno nella realizzazione della celebre “Layla” di cui numerose “fonti” attribuiscono a Duane Allman la scrittura del noto riff iniziale (per tutte https://web.archive.org/web/20090831061616/http://www.guitarworld.com/article/100_greatest_guitar_solos_14_quotlaylaquot_eric_clapton_duane_allman – consultato il 6.2.25).
A poco più di un anno di distanza, l’11 novembre del 1972, nuovamente a causa di un incidente stradale in motocicletta, perdeva la vita anche Raymond Berry Oakley III, il bassista del gruppo che, con Jai Johanny Johanson e Butch Trucks alle “pelli”, ha costituito una delle più “solide” e “mobili” sezioni ritmiche.
Per una strana e malevole sorte, il 20 ottobre del 1977, i Lynyrd Skynyrd furono vittima di un incidente aereo che causò la morte, tra l’altro, dei componenti del gruppo Ronnie Van Zant, Steve Gaines e Cassie Gaines; ciò solo tre giorni dopo l’uscita del loro bel “Street Survivors” che recava in copertina (nella prima stampa) i Lynyrd Skynyrd avvolti dalle fiamme.
- “Final Concert 10-28-14”
Ebbene, lo scorso ottobre, dopo 45 anni di concerti, è stato pubblicato “Final Concert 10-28-14” (il 25 ottobre liquido e il 22 novembre in triplo CD), contenente le registrazioni dell’ultima esibizione dal vivo dei The Allman Brothers Band, tenutasi il 28 ottobre 2014, al Beacon Theatre di New York; c’è da dire che già dal 2014 “circolava” questo live che oggi assume tutti i crismi “dell’ufficialità”: “On Tuesday, October 28, 2014, after 45 years of performing the greatest live music in rock history, the Allman Brothers Band had arrived at its final concert. The dream created by Duane Allman in 1969 had come to fruition, gone through triumph and tragedy, joy and sorrow, flourished and faltered, and ultimately persevered to reach the pinnacle of the blues/rock genre. The road had seemingly gone on forever, but, in 2014, the group decided that forever would come to an end at the Beacon Theatre in New York City. On Friday, October 25, in recognition of the 10th anniversary, fans can own a piece of rock ‘n’ roll history when Final Concert 10-28-14 is officially released via Peach Records. Re-mastered here with improved sound quality, Final Concert 10-28-14 will be available digitally on October 25and as a special 3-CD package with extensive 16-page booklet featuring exclusive photos and liner notes on November 22” (si legge sul sito https://allmanbrothersband.com/discography/final-concert-10-28-14/ – consultato il 4.2.25).
Della storica formazione, presenti solo Gregg Allman (Hammond B-3 organ, pianoforte, chitarra acustica, voce), Jai Johanny Johanson (batteria) e Butch Trucks (batteria e timpani) affiancati da due chitarristi di spicco, l’eccezionale Warren Haynes dei Gov’t Mule e l’altra icona della chitarra Derek Trucks (nipote di Butch Trucks; da ascoltare a nome The Derek Trucks Band il “Live at Georgia Theatre” del 2003), da Oteil Burbridge al basso e Marc Quiñones alle congas e percussioni.
Va subito detto che quanto suonato il 28 ottobre 2014 è meritorio per due motivi: il primo per la scaletta dei brani, splendidi intramontabili classici, il secondo per l’esecuzione degli stessi che si mostra come d’altissima qualità tanto nel suono quanto nell’intenzione.
Anche solamente l’impressionate sequenza, senza soluzione di continuità, data da “In Memory of Elizabeth Reed” (di 15:29 minuti), “JaMaBuBu” (di 10:27 minuti), “In Memory of Elizabeth Reed – reprise” (di 2:29) e l’abrasiva, viscerale e scarnificante “Whipping Post” (di 16:18 minuti) sarebbero sufficienti a certificare il valore di questo concerto, se non fosse che i The Allman Brothers Band, quella sera del 28 ottobre, non paghi, inanellino un interminabile numero di brani di pregio (tanto loro quanto altrui interpretazioni di lusso) tra cui l’inossidabile “Mountain Jam” (divisa in tre momenti; gli ultimi due in tutt’uno con la centrale “Will the Circle Be Unbroken”), “Don’t Want You No More” che condensa nei suoi “soli” 2:35 la quintessenza del genere, il blues di “It’s Not My Cross To Bear” e “Statesboro Blues”, l’esplosiva “One Way Out”, un’ispirata “Good Morning Little School Girl” di circa 11 minuti, l’intensa “The High Cost of Low Living”, i viaggi di “Blue Sky” e “Ain’t Wasting Time”, la torrenziale “You Don’t Love Me”/“Soul Serenade”/“You Don’t Love Me”, le sostenute “Hot ‘Lanta” e “Black Hearted Woman”, le tirate “The Sky Is Crying” e “Dreams”…ed ancora dagli archivi, l’acustica “Midnight Rider”, “Melissa”, “Revival”, “Southbound”, “Don’t Keep Me Wonderin”, la breve “Little Martha”. Prima della conclusiva “Trouble No More”, da annotare il discorso d’addio, per tre ore e mezza di esplosiva bellezza.
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