Il quadro dipinto dalla musicista di Boston e scelto come copertina del nono disco di inediti di Marissa Nadler dice tutto del disco stesso: dopo una parentesi quasi rock con Strangers due anni fa, Marissa, ormai affermata songwriter statunitense, sceglie di ritornare alle atmosfere sue più congeniali, da brughiera invernale, per raccontare 11 storie al femminile di amori inquieti e tutt’altro che sereni, che lasciano supporre, come messaggio definitivo dell’album, che forse la coppia non è la destinazione migliore per le donne libere, e che l’amore contiene sempre, alla fine, la separazione.
Per questo disco Marissa ha abbandonato la collaborazione più che produttiva con Randall Dunn, per tornare al folk più semplice, tutto chitarra e voce e pochi artifici intorno. Le atmosfere disegnate sono come quelle della copertina: fosche, sospirate, gotiche, introdotte dalla sua solita voce che sembra provenire dall’altro mondo, come un fantasma buono cantastorie.
Angel Olsen sulla prima canzone, che dà il titolo al disco, Sharon Von Etten in Love Release Me, Kristen Kontrol in Blue Vapor aggiungono ulteriore profilo femminile alla femminilità introversa e inquieta di queste canzoni, tutt’altro che mainstream, difficili, introverse e non sempre orecchiabili benché piene di melodia. For My Crimes è una supplica dai toni drammatici, I Can’t Listen To Gene Clark Anymore è una dolce poesia rarefatta e evanescente, Are You Really Gonna Move To The South? è una ballata alla Woody Guthrie, ma la canzone più profonda e incisiva del disco è Interlocking, tutta giocata sulle due voci e su un arpeggio di chitarra dove nel finale intervengono archi e riverberi a suggellare l’atmosfera gotica, quasi da funerale.
Marissa sceglie di rischiare in fondo, ripetendosi rispetto alla formula che ha inaugurato con i primi dischi e tornando dunque allo stile che le è più congeniale, e da cui probabilmente può solo prendersi pause musicali più o meno lunghe. Tuttavia in quest’ultimo disco il songwriting si fa più pungente, più duro, toccando il cuore della debolezza di ogni relazione sentimentale, e l’atmosfera musicale che lo racconta si fa più cupa, lasciando poco spazio a sole e speranza. E’ un disco a tinte fosche, reso lucente solo dalla voce angelica della cantautrice, che riesce per fortuna a trovare in canzoni come Dream Dream Big In The Sky o Flamethrower o nella autobiografica Said Goodbye To That Car toni più rilassati e sereni, per quanto comunque improntati alla malinconia da brughiera che è il vero imprinting di questo disco prezioso, forse il più difficile e prezioso della sua carriera.
autore: Francesco Postiglione