Il decimo disco degli Eels è una buona occasione per riflettere sul legame a volte indissolubile tra felicità/infelicità e qualità di un disco. La vita di Mark Oliver Everett è stata in buona parte assimilabile ad un romanzo pieno di infelicità, tragedie personali e rock’n’roll; a tal proposito consigliamo la lettura dell’autobiografia “Rock, amore, morte follia”, un viaggio attraverso esperienze estremamente dolorose ma affrontate con piglio pop e una visione, seppur in un modo non troppo diretto, ottimistica della vita. Da questo concentrato di sfortune e gravi perdite sono nati alcuni capolavori a bassa fedeltà come “Electro-shock Blues”, “Beautiful Freak” e “Daisies Of The Galaxy”, dischi fatti di poche e semplici cose ma affilati come coltelli e a loro modo disperati senza risultare patetici. Fortunatamente per il buon Mr. E., le cose oggi vanno meglio, il destino non ha più l’amaro sapore di una sconfitta perenne, ma all’orizzonte un tiepido sole riscalda le particelle d’aria e illumina la strada. Inevitabilmente le pagine più intense del romanzo della sua vita sono andate perdute per sempre ed a questo processo è corrisposta una qualità decrescente dell’ultima produzione discografica.
Con “Wonderful Glorious” si è preso circa tre anni per tornare sulle scene, lo ha fatto senza tradire se stesso e il proprio credo musicale, ma lo ha fatto in un modo diverso e più distaccato. Non attinge più al serbatoio di tragedie della propria vita ed inizia a raccontare storie di cui non è più il protagonista diretto; lo fa bene, sempre in bilico tra rock e pop, favorendo una produzione che, se non proprio a bassa fedeltà, rinuncia a lustrini e suoni scintillanti. Un buon disco, lontano dall’innocenza sanguinosa dei primi lavori e probabilmente la conferma che, se nella vita sei più felice e tranquillo, qualcosa a livello artistico sei costretto a perdere. E’ una trappola alla quale è difficile sottrarsi del tutto, a meno che non si sia abituati a territori pop tout court, come ad esempio è successo al movimento scandinavo degli scorsi anni in cui sembrava scoppiata un’estate eterna e dai colori sgargianti. Non è il caso degli Eels, la cosa si avverte in una sensazione di maggior distacco nelle composizioni di quello che resta un disco più che buono, migliore dei due immediatamente precedenti e sicuramente superiore a moltissime produzioni contemporanee. Un bel modo per restare in sella, anche quando una certa maturità e una discreta dose di mestiere prendono sempre più spazio tra le pieghe di una raccolta di canzoni convincente soprattutto quando si abbassano i toni e le atmosfere si smorzano.
Ad un primo approccio questo potrebbe sembrare il solito disco degli Eels senza infamia e senza lode; dopo qualche ascolto la prospettiva si amplia e le qualità del lavoro vengono a galla. Il dolore esprime una bellezza diversa, dirompente e commovente allo stesso tempo, la tranquillità ha bisogno di più tempo e prende una strada tortuosa. E’ la conferma che l’infelicità ha una fortissima ingerenza sulla qualità di un disco, ma anche da momenti di grande serenità può nascere qualcosa di buono. I fasti del passato sono probabilmente perduti per sempre, ma un giro tra le storie raccontate dall’ormai non più tormentato Mr. E. è sempre un’esperienza di spessore.
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autore: Enrico Amendola