Non so se l’esistenza di una scena “funk-punk” sia solo il frutto della creatività della stampa musicale, di sicuro il set dei Rapture è una delle cose più reali e interessanti che siano transitate ultimamente dalle nostre parti.
Una volta tanto è stata azzeccata anche la location, dei Magazzini Generali gremiti, segno che questa è una musica che trova la sua dimensione ideale proprio nell’ambito del dancefloor. Mi piacerebbe pensare che i club newyorkesi oggi fossero tutti così, pronti ad infiammarsi sulle urla stridule di Luke Jenner e compagni.
Quel che è certo è che nel corso del pur breve set ci si diverte davvero. Scorrono una dopo l’altra le canzoni di Echoes e ci si accorge come i Rapture siano fondamentalmente un gruppo live, in grado non solo di riprodurre fedelmente la giostra di suoni dell’album, ma anche di ridare spessore a quei brani che su disco erano penalizzati da una produzione eccessivamente piatta.
Ce la mettono tutta i newyorkesi per suscitare l’entusiasmo del pubblico: ballano, saltano e si lanciano tra la folla che ricambia intonando una Open Up Your Heart da brividi, in uno dei momenti più intensi dello show.
Lo spettacolo è ipercinetico e avvincente nel suo alternarsi di atmosfere dance e momenti più riflessivi, il tutto amalgamato da una folle vena psichedelica.
A tratti riecheggiano i fantasmi della new wave “colta” di Pop Group e Talking Heads, mentre se provate a chiudere gli occhi durante l’esecuzione di I Need Your Love vi sembrerà di avere di fronte i Cure dei mid-eighties, più o meno quando Mr. Smith intonava Let’s Go To Bed.
Ma sarebbe sbagliato ridurre tutto ad un gioco di citazioni. Il pulsare ossessivo di Sister Saviour, la malìa glam di Love Is All sono producono atmosfere che i quattro ragazzi, neanche fossero dei consumati veterani, sanno capitalizzare al meglio nel corso dello show. La personalità del gruppo emerge, canzone dopo canzone, in un crescendo emotivo che trova il proprio sbocco naturale in House of Jealous Lovers, diventato ormai il manifesto dell’intera scen “fun….beh, si insomma ci siamo capiti! È un finale liberatorio e incandescente, un inno sgraziato al quale è impossibile non abbandonarsi e che segna la fine dello spettacolo. Ci sarà tempo ancora per un bis, che però non toglie e non aggiunge nulla a quanto mostrato fin qui, che, a considerare dagli sguardi stravolti e divertiti dei presenti, ha superato le più rosee aspettative.
Autore: Diego Ballani