Un po’ li aspettiamo sistematicamente al varco, diciamoci la verità, perchè il brit pop non ci piace granchè, eppure i Delays sopravvivono ai nostri pregiudizi, e la fanno sempre franca, pur rimanendo eternamente lì, tra le seconde linee, da 6 anni, facendo parlare di sé soprattutto con la loro simpatia, il look, e qualche singolo da discoteca rock anni 80. Anche su questo quarto disco (cui però s’aggiungono, nella loro storia, ben 5 Ep) del quartetto di Southempton – formato da Greg Gilbert (voce), Aron Gilbert (chitarra), Colin Fox (basso) e Rowly (batteria) – non possiamo che esprimere un giudizio positivo, pur con le solite riserve riguardo la banalità degli arrangiamenti, sempre fedeli al brit pop più telefonato, ma in ogni caso riconosciamo con onestà che saper scrivere canzoni che funzionino, è una buona dote. La formula è sempre quella, tra Blondie, Divine Comedy e Blur, con cantato in falsetto, accenni soul pop e stacchetti a più voci, violini sintetizzati alla tastiera, pomposi, che sostengono e spingono su ritornelli comunque rock, ma tra il natalizio e la soundtrack romantica, e tanta elettricità, sia chiaro, perché la musica dei Delays non affoga nello zucchero che pure sparge in giro a palate, riuscendo a mantenere quell’equilibrio con cui, come dicevamo, si salva sempre, sia dal ridicolo, sia dalle bocciature, con sobrietà power pop.
Non hanno il senso dell’umorismo dei Darkness, l’intelligenza dei Portishead, il look degli Oasis, l’ambizione degli Stone Roses o la delicatezza di Belle & Sebastian, ma i loro dischi si fanno ascoltare con piacere, ed anzi, con ‘Everything’s the Rush’ sono un passetto avanti rispetto al precedente album ‘You See Colours’ del 2006, ultimo con la Rough Trade, di cui pure dicemmo bene, complessivamente. Se provassero a fare sul serio, forse potrebbero realizzare il loro ‘Deserter’s Song’, prima di sciogliersi, ma poi, a pensarci, non sarebbero più loro: dunque avanti così, e balliamo.
Autore: Fausto Turi