Ci sono dischi che, secondo la legge dell’esperienza, si è in grado di aspettarcisi, belli o brutti che siano. Altri che spiazzano come una mazzata sulla nuca. In senso buono però. Specie se l’autore di un tale disco ama circondare di un alone di mistero e pre-leggenda la sua figura.
Pochissimo si sa di u.n.p.o.c. – e meno male che incide per una label non proprio minuscola come Domino. Esibizioni dal vivo inesistenti, giusto il nome del frontman (Tom Bauchop), probabile mente del gruppo, età sicuramente bassa dei componenti che – come da criptico messaggio di Tom – oscillano tra 3 e 6. e questa sigla, che nessuno sa cosa voglia dire (“united nations police officers course” il primo link utile in rete, ma lasciate perdere), a cui Tom, sul proprio website, dà ogni giorno un significato diverso, oltre a fotomontarla dove capita in immagini storiche/di repertorio per tracciare la – fasulla – identità della sua creatura musicale.
Tom Bauchop, dicevamo. L’ennesimo virgulto della “variopinta” scena scozzese, già parte del Fence collective (e omonima piccola etichetta) con James Yorkstone e altri. Le facili associazioni sono detestabili, I know, ma forse dev’essere proprio la placidità della natura scozzese, quel verde della vegetazione intatta e quel grigio della roccia nuda e del cielo plumbeo, e vento ovunque, a rendere possibile il concepimento di un disco così “separato” dal resto del mondo musicale. Non si tratta di musica “isolazionista”, attenzione, ma di una bolla spazio-temporale che ha spiccato il volo nei pressi di “Pet Sounds” e che, in moto perpetuo, non ne vuole ancora sapere di atterrare e aprirsi, salvo “rapire” qua e là qualche umano. Tom è una di queste “vittime”, menestrello timido e visionario con la fissa per l’esplorazione delle montagne (guardate che copertina…), “nato mille milioni di miglia lontano”, che all’amplificazione degli strumenti preferisce il suono nudo delle corde e dei tamburelli, così da far spazio alla melodia, pura e intuitivamente naif, alla voce, acerbamente stentorea ove non in falsetto, ai cori e ai riverberi, che sfumano la realtà.
“Fifth Column” è un sogno pre-adolescenziale, arcadico e nostalgico di un mondo decontestualizzato, in cui la giovinezza non finisce mai e una ragazza si conquista con un fiore. In tre quarti d’ora e più di una dozzina di canzoni Tom riesce, sotto il comune denominatore folk-pop-psichedelico, a esprimere una varietà di sensazioni: dal tiepido invito lisergico di ‘Come In’ all’esagitato dance-pop di ‘I Love You, Lady Luck’, dal forte sentire nostalgico di ‘Here on My Own’ e ‘Dark Harbour Wall’ al romanticismo quasi-infantile di ‘Beautiful to Me’ e ‘So in Time’, fino alle accelerazioni e alla follia di ‘Been a While Since I Went Away’ e ‘See You Later’. Che genio, Tom Bauchop…
Autore: Bob Villani