Volto scavato e dinoccolato, un cespuglio di rovi in fiamme e uno sguardo apparentemente spento e stanco. È proprio questo il volto dell’art-rock nel XXI secolo ormai inoltrato. Archy Ivan Marshall non è solo un introverso e ambiguo personaggio sgusciato fuori dall’indie britannico: è un piccolo genio.
Studente eccezionale della BRIT School, con i suoi soli ventitré anni sulle spalle è stato già capace di tirare fuori dalla sua mente due dischi assolutamente oltre i generi, ma nemmeno esuli verso avanguardie incomprensibili.
L’esordio arriva ancora prima dei diciotto anni: nel 2012, sotto lo pseudonimo di King Krule (tratto dal “Re Creolo” di Elvis Presley), viene incluso tra le promesse di “BBC Sound of…”; l’anno successivo pubblica il suo disco d’esordio.
“6 Feet Beneath the Moon” era una distesa e cantilenante ballata in penombra di una peculiarissima dark-wave che incrociava di brano in brano hip hop strumentale, guizzi jazzati, ventate punk. Tuttavia era la sua voce profonda e maledetta (che sfiora Tom Waits in “Has This Hit”) a svelare un talento non solo compositivo, ma anche canoro.
Qualche anno in più (e un po’ di libertà in più dalla produzione) ha concesso all’emaciato volto di Marshall di farsi moniker per qualcosa di maggiormente complesso e profondo: una midnight walk nella solitudine dell’anima intitolata “The Ooz” (titolo derivato dall’inversione del suo pseudonimo di Zoo Kid).
I primi due passi nelle strade desolate tracciate dalla mente di King Krule sono riflessi di un art-rock di rarissima bellezza. Malgrado il beat da hip hop, le strofe accentate e quasi rappate, la veste con cui si presenta Marshall questa volta ricorda tutta quella collocazione fuori da ogni schema di Syd Barrett. Un giro di accordi scheletrico segue stentatamente il nevrotico sprofondare di “Biscuit Town”, a ritmo di lo-fi hip hop; mentre, un istante dopo, “The Locomotive” recupera l’attitudine alla tenebra di Swans e Christian Death (comprese le grida disperate). Il singolo “Dum Surfer” è un’insalata mista di suoni che riesce a coadiuvare un ventennio di post-punk ad un sound contemporaneo: jazzate irregolare à-la Pere Ubu, riff minimali sulle orme dei Gang of Four, percussioni martellanti in stile Pop Group, cui il tono decomposto di Marshall può solo accompagnare.
I testi si pongono in un’ottica interessantissima: dato il canto dal taglio talvolta punk talvolta melodico, il giovane artista si concede una scrittura apparentemente nonsense e dalle molteplici personalità, ma che trova il suo significato nelle immagini che evoca, quali la “biscuit town” della traccia di apertura (corrispondente ad un modo di definire l’area londinese), la depressione di “Midnight 01”, il rapporto con la famiglia in “Logos”.
D’altro canto, “The Ooz” non è solo cruda attitudine punk, è anche dolcezza sintetica su sfondi chillwave intitolata “Czech One”, su cui una morbidissima ballad cantata in chiave da crooner mescola un profondo battito elettronico a divagazioni di sassofono. Sempre su piani più smussati, Zoo Kid ci regala uno dei migliori tributi contemporanei allo stile dell’autore di “Madcap Laugh” con l’acustica “A Slide In (New Drug).
Mentre l’anima più giocosa e dark di Marshall emerge tutta nell’incubo “Vidual”, dove una scenografia di drum machine in stile Suicide fa da ambientazione per un’incalzante serie di strofe bipolari alimentate dal fuoco dei Birthday Party dei tempi d’oro.
King Krule probabilmente non aveva intenzione di rievocare questo o quell’altro artista; il suo sembra più un divertissement sui generis: non provocatorio quanto un Captain Beefheart, ma abbastanza da scalzare rapidamente tutto il filone odierno dell’art-rock con una brezza innovativa inedita. Il jazz (onnipresente in questo disco), l’alt-pop britannico, il post-punk sono solo degli strumenti per Marshall, intento a costruire la propria identità con un disco che segnerà i posteri senza ombra di dubbio.
http://kingkrule.co.uk/
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autore: Gabriele Senatore