di D. Cronenberg, con K. Knightley, V. Mortensen, J. Fassbender
Alla fine lo spettatore emette la sentenza: tra il volubile Jung e il paternalistico Freud preferiamo lei, Sabina Spielrein. Cronenberg mette in scena il triangolo (no) più conturbante della storia scientifica a cavallo tra i due secoli. Sceglie una cornice visiva semididascalica, con tutte le inquadrature e i dialoghi al loro posto.
In questo caso specifico si dimostra meno autoriale di Roberto Faenza, che dieci anni fa riprese lo stesso tema nel meno ambizioso ma più bello e più alto “Prendimi l’anima”. Ma, detto questo, l’impianto che poggiava sul sicuro di una storia affascinante tra geni della mente alla fine sembra reggere, proprio grazie alla forza dei titani in giacca, gilet e sigaro (il padre della psicanalisi, tutto barba e nuvole di fumo).
Ottimi Viggo Mortensen (Freud) e Keira Knightley (Sabina), anche se troppo carina per quel ruolo, e questo ha nociuto, secondo me, alla veridicità del personaggio Jung (facile innamorarsi della Knightley, meno di una donnina brutta ma dalla superba intelligenza). Un po’ di legno Fassbender (Jung), eccessivamente lucido, poco espressivo.
Autore: Alessandro Chetta