Non so se la cosa sia strettamente legata al look del gruppo che suonerà, ma fra il pubblico che affolla il Rainbow questa sera c’è la più alta concentrazione di barbuti che si sia vista dall’ultimo concerto dei Jethro Tull !
Sono di turno i Kings Of Leon da Nashville, quattro “sons of a preacher man” dediti alla musica del diavolo, passati nel giro di breve tempo dagli altari delle chiese a quelli dell’NME.
In verità il debutto “Youth And Young Manhood” è più fresco e originale di tanti ribelli da copertine patinate, anche in virtù di un sound che mescola garage, pop ed una peculiare vena “southern”.
A giudicare da come è affollato il locale si direbbe che il tam tam mediatico che negli ultimi tempi è risuonato intorno al gruppo abbia fatto il proprio dovere. Per questo motivo c’è attesa per vedere come i fratelli Followill si comporteranno alla prova live. A pochi minuti dall’inizio mentre l’ottima Regina Spector scalda il pubblico con il suo piano bar ad alto tasso alcolico, si pregusta già l’attacco fulminante di “Red Morning Light”, ci si immagina i quattro ragazzi prodigio animati dal sacro fuoco del rock’n’roll buttarsi a capofitto in uno show incandescente.
Poi però il concerto inizia e non accade nulla di tutto questo. Come da copione la prima canzone in scaletta è quella che apre l’album ma i Kings Of Leon partono inspiegabilmente con il freno a mano tirato. Ok, i suoni sono quelli giusti, la tecnica c’è e di Iggy And The Stooges ne nasce uno per secolo, ma non è possibile che per tutta la prima parte dello show Caleb sia più impegnato ad aggiustarsi il bavero della giacca che a far urlare la sua sei corde. Sia chiaro, i nostri non sbagliano un colpo, ma ne abbiamo viste già troppe di band che si limitano a svolgere il compitino lasciando inespresse le potenzialità accennate in studio.
Bisogna aspettare circa la metà dello show perché le cose cambino, canzone dopo canzone i ritmi aumentano, i muscoli si sciolgono e gli animi si entusiasmano. La voce di Caleb calda e impastata come quella di un vecchio bluesman fa il suo dovere guidando le danze sulle note di “California Waiting”. Si arriva caldi all’appuntamento con il singolo e “Molly’s Chamber” viene cantata da un’audience che si è già messa alle spalle le indecisioni iniziali. Si finisce senza bis (onore a loro!) su una furibonda versione di “Happy Alone” pronti a perdonare ai quattro imberbi di averci fatto scappare qualche sbadiglio di troppo e pronti a scommettere che la prossima volta li troveremo con qualche pelo di barba in meno ma con molta classe in più. Si sa, quando la stoffa c’è…
Autore: Diego Ballani