I giapponesi Mono non sono una band originale, diciamolo subito. Suonano post-rock strumentale, come decine di altre band hanno fatto negli ultimi anni e molte altre faranno in futuro (nonostante l’evidente “stagnatura” ed inaridimento del genere). Però lo fanno bene, guadagnandosi un posto d’onore a fianco di quei gruppi (Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, Do Make Say Think etc.) che con questa musica tenebrosa, umorale e piuttosto prevedibile (l’irrinunciabile struttura dei brani che iniziano lenti e delicati per poi inasprirsi in un mare di distorsioni) riescono realmente ad emozionare gli ascoltatori.
Questo disco è una raccolta di brani precedentemente pubblicati nel periodo 2000-2007 in EP più o meno difficili da reperire o in compilation, molti dei quali si avvalgono del lavoro in fase di registrazione e missaggio di un certo Steve Albini.
Dieci brani, per quasi settantasette minuti di musica. Strumenti che si muovono con andamento ondeggiante, rievocando un mare in tempesta (a cos’altro vi fa pensare “Yearning”?); arpeggi intrecciati che si sciolgono lentamente in accordi secchi e incalzanti, in mura di rumore “addolcite” da un tripudio di archi malinconici (l’ottima “Memorie dal futuro”); atmosfere rarefatte e dilatate (“Due foglie, una candela: il soffio del vento”); melodie incantate, delicatissime (“Since I’ve been waiting for you”); lievi rintocchi dall’incedere drammatico (“Black rain”, con in sottofondo la voce di Giovanna Cacciola degli Uzeda); rumorismi intransigenti (la coda della lunghissima “Black Woods”) e composizioni dal forte sapore “cinematico”, maestose come la morriconiana “Gone”, sommesse come “Rainbow” o inquietanti come “Little boy (1945-future)”, con uno xilofono che sembra uscito dalla colonna sonora di un film di Dario Argento (salvo poi essere sommerso dalla solita “esplosione” sonica). Da avere assolutamente se siete amanti del genere (e non possedete gli EP della band). Non indispensabile per tutto il resto del mondo.
Autore: Daniele Lama daniele@freakout-online.com