La band, dal 2008 composta da Luke Pritchard (voce e chitarra), Hugh Harris (chitarra), Pete Denton al basso e Chris Prendergast alla batteria, è tornata dopo quattro anni a incidere un disco, dopo il successo tiepido di Listen, e nel 2011 di Junk of the Heart, che pure aveva segnato il singolo di successo Junk of the Heart (Happy). La fama dei the Kooks fino ad oggi in fondo si può dire segnata più dai singoli che dagli LP: Naive e You Don’t Love Me del primo disco ma soprattutto Do You Wanna?, e Always Where I Need to Be del secondo sono certamente le canzoni che hanno contribuito a renderli famosi, una fama che non ha retto rispetto alla valenza oggettiva dei dischi, che si inquadrano in un onesto britpop tipico ma che non grida al miracolo.
Let’s Go Sunshine vuole essere per i Kooks il disco della trasformazione: non ci sono infatti pezzi esplosivi, e soprattutto sono assenti o quasi i pezzi dal tipico sound della band (Pamela, Kids e Chicken Bone, ma in salsa ridotta, e soprattutto No Pressure), ovvero fortemente rockettari ed energici, come quelli dei cugini Artic Monkeys, Fratellis e Strokes e di tutto in fondo l’universo britpop in versione nuovo millennio. In sostanza, non ci sono pezzi da hit alla radio, come i Kooks hanno sempre segnato. E ci sono anche dei riempitivi che impressionano poco, come Honey Bee, Fractured and Dazed, Four Leaf Cover, che scimmiottano un po’ pezzi noti di altre band a cui i Kooks ammiccano (per esempio Have a Nice Day degli Stereophonics, sin troppo citata da Initials for Gainsbourg).
Ma ci sono anche delle vere e proprie sterzate sonore, verso altre direzioni fin qui poco esplorate dal sound forse troppo standardizzato di Pritchard e compagni.
Tesco Desco, Believe, All the Time, Picture Frame, la beatlesiana Swing Low sono forse tra i pezzi più intensi, più maturi e diversi che i Kooks abbiano prodotto fin qui. Da soli, potrebbero fare il disco e costituiscono senza dubbio l’ossatura dell’album per come la band lo ha concepito come album di svolta.
«Questo album definisce chi siamo. L’inizio fu disastroso, andammo in studio nel 2015 continuando il percorso che avevamo stabilito nel nostro ultimo album Listen e ci rendemmo conto che non era quello che volevamo fare. Quindi rincominciammo da capo. Mi impegnai al massimo per scrivere canzoni migliori e prima di portarle alla band ricontrollai ogni parola. Doveva essere il nostro Rubber Soul, quello che per i Beatles è stato l’album di svolta. Deve essere il nostro album più emozionante e deve farvi ballare».
Il quartetto del South Essex dopo una serie di appuntamenti mancati con la tanto annunciata consacrazione, si era presentato alla resa dei conti con il suo greatest hits l’anno scorso, prodotto dalla Virgin, come i dischi precedenti. E forse proprio l’insuccesso del Best of ha dato slancio a nuovi stimoli creativi, grazie anche all’etichetta indipendente Awal, con cui esce questo nuovo disco.
L’impressione è che 15 tracce fanno forse più danno che bene al disco, perché ci si poteva concentrare sui pezzi veramente freschi e nuovi, visto che, probabilmente per scelta, stavolta mancano i pezzi riempi-pista delle discoteche rock. Ne viene fuori che Let’s Go Sunshine non è il tanto atteso capolavoro, e non fa così tanto ballare come il frontman desiderava, ma almeno è un album con cui i Kooks provano interessanti variazioni sul tema, e allargano il loro universo musicale, fin qui troppo legato a un sound ultradefinito e già ampiamente calcato da band che peraltro hanno forse più talento di questi quattro onesti e simpatici ma non geniali musicisti.
autore: Francesco Postiglione