Il Bristol Sound è morto a metà del secondo decennio del terzo millennio? Difficile a dirsi: se è vero che Portishead e Massive Attack sono ancora on the stage, è anche vero che questi di oggi non sembrano più i loro anni migliori, e persino una band dichiaratamente ispirata a loro, e loro concittadina, come i Malachai, sentono al terzo disco il bisogno di andare “oltre”.
“Oltre la bruttezza”, anzitutto, come dice il titolo del loro terzo lavoro che annuncia quindi la chiusura della “trilogia della bruttezza”, inaugurata nel 2009 con Ugly Side Of Love e continuata nel 2011 con Return To The Ugly Side, e forse anche l’apertura di qualche nuova esplorazione.
Difficile a dirsi anche questo: Gee Ealey e il Dj Scott Hendy non sono proprio facilmente prevedibili e nemmeno definibili, quanto a gusti musicali. Il loro sound è un misto di campionature, ritmi beat, trip-hop fusi con chitarre rock, psichedelia e tanti eccentricismi. Definiscono il loro genere come “nosebleed folk” (folk dal naso sanguinante, sarebbe), ma in realtà di folk ce n’è poco e si tratta più di un bizzarro maquillage di Fatboy Slim, Tricky, the Prodigy, il primo Moby, da un lato, e Red Hot Chili Peppers, Kasabian, Kaiser Chiefs e Eels dall’altro.
Di certo c’è che a collaborare a questo Beyond Ugly c’è Geoff Barrow e Sergio Pizzorno dei Kasabian, il che fa spostare di un pochino l’ago della bilancia dal trip-hop contaminato all’alternative rock.
Sia l’intro dell’album, Sweet Flower, che la sua conclusione, Down to Heart, sono infatti più vicini al rock che al trip-hop: addirittura Down to Heart è un omaggio (speriamo, altrimenti è proprio un plagio) all’urlato cantare di Robert Plant di zeppeliniana memoria.
Don’t try this at home, e soprattutto la potentissima Dragon Ball, cercano più il Moby degli inizi che non il Bristol sound, e anche quando questo finalmente arriva con una mini-trilogia interna (la bellissima Holes, l’ipnotica e psichedelica Her it Comes, e il primo singolo I Deserve to No), appare sempre “sporcato” da contaminazioni provenienti da tutt’altri generi, contaminazioni che prendono il sopravvento di nuovo in Army, The Love, e End.
Forse, la più limpida e pura concessione al trip-hop è nei due pezzi quasi strumentali, White Nuthin’ Sky, e Dark Before the Dawn, dove emerge al meglio la “bruttezza musicale” ovvero la dissonanza, e la confusione strumentale, voluta e anzi disperatamente cercata per annientare ogni equilibrio dell’ascoltatore.
Ma appunto l’album vuole andare “oltre la bruttezza”: considerata la presenza di non pochi momenti melodici (in End o Her it Comes), oppure di un ritmo scandito e ben definitamente hard-rock come in Down to Heart, Dragon Ball e Sweet Flower (che nel testo cita quasi Hey Joe), l’obiettivo sembra assolutamente raggiunto.
Ne viene fuori un pastiche a tratti disarmante, ma complessivamente stimolante e interessantissimo, soprattutto se si supera il disorientamento del primo ascolto. I Malachai si confermano la band più viva del Bristol Sound, quelli che hanno capito che per tenerlo in vita devono trasformarlo, inquinarlo, contaminarlo.
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autore: Francesco Postiglione