Anno di grandi uscite in ambito metal. Il 2013, dopo i celebratissimi successi di Black Sabbath, Megadeth, Alice in Chains, Rob Zombie Avenged Sevenfold e Five Finger Death Punch, vede arrivare in pompa magna, a distanza di diciassette anni dall’ultima prova in studio, i Carcass. Lo storico gruppo inglese, che abbattendo le barriere del mostruosamente estremo è passato dall’essere un’icona del grind-core, accanto ai conterranei Napalm Death con i quali nel 1987 hanno condiviso il chitarrista Bill Steer, fino a diventare con Heartwork del 1993 tra i primi paladini del death metal melodico, di stampo scandinavo, trainati però anche dalla verve e dal talento chitarristico dello svedese Michael Amott, il quale non ha preso parte alla reunion per i numerosi impegni che lo tengono legato ad Arch Enemy e Spiritual Beggars.
Il nuovo album Surgical Steel, in uscita in questi giorni per la storica label Nuclear Blast, segna il ritorno trionfante di Jeff Walker, bassista e cantante, e Bill Steer, chitarrista, affiancati dal giovanissimo Dan Wilding alla batteria che sostituisce lo storico Ken Owen il quale, colpito nel 1999 da una emorragia cerebrale che lo ha tenuto per molto tempo in coma, partecipa al disco solo come guest vocals. Surgical Steel, prodotto dal leggendario Colin Richardson e mixato dall’altrettanto celebrato Andy Sneap, sembra quasi essere stato pianificato per diventare un’icona del metal estremo moderno; con una tenacia ed un’attitudine senza pari i nostri offrono una scaletta senza respiro, regalando alle stampe quella che può essere definita come una esatta e riuscita mistura di Necroticism: Descanting the Insalubruos e Heartwork.
Bill Steer suona divinamente (basta ascoltare gli assolo di Cadavar Pouch Conveyor System e The Granulatic Dark Satanic Mill) e nulla sembra aver inficiato il suo playing, che, valorizzato indubbiamente dalla curata produzione a cui l’album è stato sottoposto, sembra più feroce e violento che mai, Jeff Waters non ha perso la sua voce che sembra provenire direttamente dall’oltretomba, e Dan Wilding, senza nulla togliere alla leggenda Ken Owen, offre una delle migliori prestazioni che i Carcass abbiano mai dato dietro le pelli, ne sono testimoni il blast beat furioso di Unfit for Human Consumption e di 316 L Grade Surgical Steel.
Cosa c’è più da dire su di un disco suonato benissimo e prodotto altrettanto bene? Bisogna far luce sulla qualità delle canzoni, ovviamente. I ben undici brani che segnano, per i Carcass, la prova del ritorno sulle scene sono delle vere e proprie mazzate sui denti, undici freccie di fuoco nelle quali non c’è spazio per l’hard rock che influenzò il buonissimo, e controverso, Swansong, ma solo per un death metal made by Carcass.
Ad aprire le danze infernali ci pensa 1985, canzone che richiama l’anno di fondazione dei Carcass, brano strumentale in cui si incrociano chitarre armonizzate ed accordi di piombo, scritta da Bill Steer proprio nell’85, recuperata per il gran ritorno sulle scene. L’atmosfera generale di Master Butcher’s Apron e Captive Bolt Pistols, invece, si colloca alla perfezione fra la complessità oscura e traballante di Necroticism e il death metal melodico tradizionale di Heartwork, senza però, attenzione, che ciò venga percepito come una mera autocitazione, come si potrebbe dedurre leggendo i titoli di origine anatomico-patologica, tanto da sembrare piuttosto un tentativo di portare avanti il discorso musicale lasciato appeso con Heartwork venti anni fa, senza tener conto della sterzata death n’ roll di Swansong del 1996: come si suol dire, i nostri sembrano aver fatto un passo indietro e due avanti; allo stesso modo le altre tracce che compongono questa opera si scatenano sotto il segno di un death metal irruento e implacabile sul quale è ben stampato, indelebile, il marchio di fabbrica dei Carcass, impresso come ai vecchi tempi, ma con slancio e forma ritrovati. La furia, in ogni caso, è inesprimibile a parole, e quella di Surgical Steel va assaporata in ogni suo aspetto.
Surgical Steel è l’album che ogni fan dei Carcass avrebbe desiderato e non avrebbe mai immaginato di poter ascoltare nel 2013, dopo una serie di problemi legati agli impegni musicali dei vari componenti ed ai problemi extra-musicali degli stessi (ad esempio la malattia di Ken Owen); è un album ben fatto e con delle bellissime canzoni, anche se non mancherà chi, pur apprezzando questa nuova fatica dei suoi beniamini, preferirà riascoltare i capolavori del passato. Ottimo e sorprendente ritorno, in ogni caso.
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autore: Nicola Vitale