Il coccodrilo come fa? I giornalisti lo sanno bene. Vista la veneranda età penso che i necrologi preventivi sul maestro di Ferrara e sul cineasta dei cineasti, Bergman, i critici di cinema li avessero già pronti da anni e anni nel cassetto, cioè, meglio, in una cartella sul desktop del pc. Eh sì il de profundis sulle persone importanti (il “coccodrillo” in gergo) stavolta tocca a Michelangelo Antonioni e Ingmar Bergman, morti a 24 ore di distanza l’uno dall’altro. I due registi premi Oscar si erano di fatto ritirati dal set fin dal calare degli anni Novanta (lo scandinavo addirittura dall’82, salvo lavori in seguito per la tv) perchè il seme dell’ispirazione aveva già dato tutti i suoi frutti. Antonioni, poi, ha subito anche la Beffa per eccellenza riservata ai grandi. Beethoven, la musica fatta uomo, divenne sordo, lui, Michelangelo, è diventato progressivamente cieco, come se gli occhi avessero già speso tutta l’energia possibile dietro alle lenti della macchina da presa e non avessero più funzione.
Una tristissima incombenza scrivere ‘sto coccodrillo. Sapete, quei due hanno amato il cinema. Talmente tanto da trasformarlo in scultura. Inquadrature come rocce ridisegnate dallo scalpello: in un volto e in un paesaggio, un’onda di marmo; nei piani sequenza, odio dei cinefili da intrattenimento, il gusto di una coppa di bronzo di Cellini.
Citeremo un film per ciascuno. “Scene da un matrimonio” per Bergman (morto ad 89 anni) non perchè sia il più bello, ma perchè è uno dei pochi che ho visto. Pochi ma buoni, come si dice. In “Scene da un matrimonio” il battibecco tra uomo e donna è rapido, verboso, tanto cianotico da sembrare vero. Vero: il massimo nel regno della finzione.
“Blow up” scegliamo per Antonioni, spentosi all’età di 94 anni. Nella sfacciataggine delle due “veline” al cospetto del fotografo il ferrarese prevede il dramma di una sfigurata generazione lollipop.
Due giganti. “Una grazia misteriosa se li è portati via insieme” ha detto la compagna del maestro di Ferrara, Enrica Fico. Illuminante.
ps. Si è scoperto – come racconta Francesco Alonzo su La Stampa del 2 agosto scorso -, che Bergman era solito scrivere sulla rivista di cinema “Chaplin”, dietro pseudonimo, recensioni in cui stroncava i suoi film! Firmandosi Ernest Riffe, commentava: “Sussurri e grida? E’ una schifezza”. Questo perchè nessuno, nessun critico, all’uscita di un suo lavoro osava più criticarlo. L’idea di essere perfetto gli faceva contorcere le budella.
Autore: Alessandro Chetta