Tra arte e società non può ovviamente non esserci un nesso profondo, in cui il flusso ‘comunicativo’ è bidirezionale; di più, esse sono compenetrate l’un l’altra, poiché l’artista è parte della società. Dunque l’arte può anche intendersi come una forma attraverso la quale la società si interroga e si risponde, una modalità di autoanalisi, in cui però agisce uno sfalsamento temporale – e, a volte, anche ‘cognitivo’. L’arte infatti si colloca sempre su un piano diverso, rispetto a quello in cui si muove il proprio ‘ambiente sociale’.
Questa relazione, tra corpo sociale ed arte, non è mai soltanto ‘immateriale’, filosofica, astrattamente ‘culturale’; al contrario, essa è estremamente ‘materica’, è culturale nel senso più ampio e profondo del termine. Investe la natura complessiva della società, dunque anche della sua relazione con la tecnica – e con i cambiamenti culturali che questa introduce.
Così come le pitture parietali delle grotte di Lascaux erano possibili grazie allo sviluppo della tecnica dell’estrazione dei colori da pigmenti naturali (minerali, vegetali e animali), così il divisionismo pittorico era figlio delle conoscenze scientifiche in campo ottico, sulla scomposizione ed acquisizione dei colori sulla retina.
Da un lato la relazione tra tecnica ed arte si manifesta quindi su un piano ‘immediato’, materiale, dall’altro su un piano ‘mediato’, culturale. Ad esempio, un movimento artistico come il futurismo, pur non essendo materialmente debitore verso una qualche ‘tecnica’ specifica in modo nuovo e/o particolare, è indiscutibilmente ‘prodotto’ da una fenomenologia tutta culturale a sua volta indotta dall’evoluzione della tecnica. La sua ‘passione’ per la velocità ed il movimento si radica in un contesto in cui le tecnologie di trasporto subiscono una accelerazione, trasformando il tessuto culturale della società.
Trasformazione che, a sua volta, è prodotta sia dalle caratteristiche dei nuovi mezzi tecnologici (potenza, velocità, capacità), sia dalla velocità con cui questi cambiamenti si producono. Ed infine, in forma più sottile, subliminale quasi, anche dal fatto che questa accelerazione tecnologica si manifesti come intimamente connessa alla fenomenologia bellica.
L’era delle macchine, dispiega infatti tutta la sua potenza – materiale ma anche simbolica – nella palingenesi della guerra. O, per dirla con Virilio (1), “la Storia progredisce alla velocità dei suoi sistemi di armamenti”.
Se, dunque, la connessione tra arte e società è (anche) la connessione – materiale e culturale – tra arte e tecnica, è importante chiedersi come ciò si manifesti oggi, in piena rivoluzione digitale.
Una rivoluzione, un po’ come accadde con la meccanica industriale all’incirca un secolo fa, che ha un ulteriore elemento di trasformazione culturale proprio nella accelerazione con cui si manifesta. La dromologia di cui scriveva sempre Paul Virilio, e che lui definiva “la scienza (o la logica) della velocità”, è questione attualissima. Basti pensare, per fare una breve digressione, a quanto diceva (2) , solo pochi anni fa ed ancora una volta sul nesso velocità/guerra: “Chi controlla il territorio lo possiede. Il possesso del territorio non riguarda principalmente le leggi ed i contratti, ma prima di tutto riguarda la gestione del movimento e della circolazione.”
Sovrapporre questa riflessione al fatto che, nel mondo contemporaneo, il ‘territorio’ digitale è più rilevante di quello ‘analogico’, materiale, basta a comprenderne l’assoluta attualità.
Ma quindi, quali sono i nessi tra la rivoluzione tecnologica introdotta dal digitale e l’arte contemporanea? É evidente che c’è ben altro – e ben oltre… – l’impatto delle tecnologie digitali nella produzione/riproduzione delle opere d’arte.
Innanzi tutto, già solo per rimanere in questa sfera, il digitale introduce una spinta in termini di potenzialità davvero considerevole. A disposizione dell’artista sono oggi strumenti che ne amplificano le possibilità in misura mai vista prima. Strumenti che hanno non solo una potenza in sé (ad esempio sotto il profilo della ‘qualità’ dell’artefatto, ma anche sotto quello della rapidità e semplicità di realizzazione), ma anche in nuce, aprendo orizzonti del tutto nuovi – basti pensare all’arte ‘generativa’ (visiva e sonora), all’interattività, alla realtà aumentata…
Ma, sopra ogni cosa, l’impatto della tecnologia digitale sull’arte si fa esplosivo su due piani diversi, e del tutto inesistenti ‘prima’. L’intelligenza artificiale da un lato, l’uso dei ‘big data’ dall’altro.
Può un algoritmo‘fare arte’? O meglio ancora, può la produzione di un algoritmo considerarsi arte? Ovviamente qui in gioco non è la questione ‘estetica’, quanto una questione eminentemente culturale, ovvero se l’esito di una elaborazione autonoma, non prodotta consapevolmente da un essere umano, possa definirsi tale o meno. O quanto meno, dove si colloca il limes, il confine che distingue ciò che è prodotto ‘attraverso’ l’uso di una serie di procedure digitali pre-compilate, e ciò che è prodotto autonomamente da queste? Dove cessa, o dove inizia, ad essere arte, quando ai nostri sensi sono assolutamente indistinguibili?
Fondamentalmente, anche un software come Adobe Photoshop non è che un elaborato insieme di algoritmi. Questo complesso di ‘istruzioni digitali’ possiede la capacità di eseguire determinate azioni, a partire dagli input ricevuti da chi usa il software, e produrre quindi un output. Per quanto detto software sia in grado di fare cose che vanno al di là della capacità ‘tecnica’ a disposizione di un essere umano, è pur sempre quest’ultimo a decidere gli input, la loro combinazione, il ‘sorgente’ su cui applicarli. Ma l’output potrebbe essere indistinguibile, se fosse generato da una sequenza di input generati autonomamente dal software stesso (o da un algoritmo in grado di trasmettergli ‘istruzioni’). L’AI apre dunque la strada ad un’era dell’AA (Artificial Art)?
Per altro verso, la raccolta e la disponibilità dei ‘big data’ (4) , ovverossia di quantità gigantesche di informazioni, fornisce una nuova ‘materia prima’ all’azione artistica. Oltre i pigmenti, oltre il marmo o il bronzo, oltre le note; oltre gli stessi pixel, si apre un universo ‘materico’ (ed al tempo stesso immateriale) sterminato, che può essere – ed è già – utilizzato per creare arte.
Ma, quanto meno sotto questo profilo, la vastità del materiale è addirittura l’aspetto meno rilevante. Ben più pregnante è la profondità (quanto la combinazione dei dati restituisce, e che è molto più della semplice sommatoria delle informazioni contenute), la mutevolezza (la ‘registrazione’ e combinazione dei dati, genera un flusso costante e mai uguale a se stesso), l’intimità (se i dati afferiscono ad esseri umani, possono dire su ciascun individuo persino più di quanto egli stesso sappia, e comunque restituiscono una ‘immagine’ della moltitudine impossibile da qualsiasi altro punto di vista).
Se questo ‘materiale’ viene plasmato a formare opere d’arte, queste possono assumere caratteristiche assolutamente inedite: possono avere durata infinita, senza mai essere ripetitive anche soltanto nella più piccola parte; possono generare forme di ‘meta-interazione’, se l’osservatore è consapevole che l’opera che ha dinanzi è generata anche utilizzando informazioni su se stesso, e che vengono elaborate in tempo reale; possono rappresentare testimonianza straordinaria di momenti singolari, se ad esempio utilizzano i dati prodotti durante una catastrofe.
E tutto ciò, ovviamente, per non considerare l’incrocio tra AI e big data a fini creativi…
Se l’arte è una delle forme attraverso la quale la società umana guarda se stessa, nell’arte dei prossimi decenni è forse la risposta a quanto la rivoluzione digitale stia cambiando non già soltanto le nostre abitudini, e/o le nostre attitudini, ma la cultura umana nel suo senso più profondo. Se tutto ciò che facciamo-diciamo-pensiamo può essere sintetizzato in un codice binario, forse è nell’atto creativo che il bit può tornare a restituirci il senso della nostra (nuova) umanità.
autore: Enrico Tomaselli
1. Paul Virilio, ‘Velocità e politica’, Multhipla, 1982
2. ‘The Kosovo War Took Place In Orbital Space’, Interview With Paul Virilio (www.ctheory.net/)
3. “Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari, chiari e non ambigui, in un tempo ragionevole. Il termine deriva dalla trascrizione latina del nome del matematico persiano al-Khwarizmi, vissuto nel IX secolo d.C., che è considerato uno dei primi autori ad aver fatto riferimento a questo concetto scrivendo il libro “Regole di ripristino e riduzione”.”, Wikipedia
4. “Il termine big data (‘grandi [masse di] dati’ in inglese) indica genericamente una raccolta di dati così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore o conoscenza.”, Wikipedia