Se si pensa alla musica inglese degli ultimi trent’anni, escludendo quindi la ‘Swinging London‘ con le sue implicazioni beat psichedeliche, cosa viene in mente? Probabilmente il colorato nichilismo della Londra del ’77, il decadente romaticismo new-wave e le battaglie mediatiche tirate su dal cosiddetto brit-pop.
Solo negli ultimi anni bands come i Franz Ferdinand son riusciti a spostare un po l’attenzione generale verso altre forme di ‘britishness’, catapultandola però in un delirio danzereccio ben distante dai riferimenti estetici cui essi stessi non negano, quindi sotterrandole, perchè il revival ciclico nella musica di largo consumo (ma anche quella di nicchia) prima o poi saccheggia la memoria per tramutarla in danaro ed in mode effimere che durano qualche stagione di dancefloor.
Nell’immaginario degli attuali quarantenni, fruitori medi di indie-rock, in merito alla musica inglese c’è più di una suggestione che diventa vera lacuna se si pensa a quanti hanno raccolto l’eredità di tutta una genìa di bands che sebbene molto diverse tra di loro, avevano in comune un retroterra culturale e che insieme davano forma ad una realtà non solo musicale che identificava esattamente un’attitudine.
Una ‘non-scena’ che in tempi di tatcherismo imperante denunciava un’insofferenza di fondo distante dalla rivoluzione delle mohicane, ritenuta ad un certo punto attrazione turistica, ma anche distante da quella cupa negazione di una ancor più cupa realtà che dai Joy Division in poi è diventato un vero affare.
Queste bands non avevano però rotto i ponti con tutto questo, semplicemente cercavano di compiere un’operazione meno sterile, apportando una sana carica di ottimismo e solarità in musica taluni, approcciando in modo più concreto a certe scelte ideologiche altri.
Tutti in ogni caso erano portatori di quel flavour proletario ben manifesto nel ‘cinema arrabbiato inglese‘ che si rifletteva poi sempre nelle vicende personali, nei sentimenti e nelle piccole storie di tutti i giorni.
Questa sottile linea rossa del pop e del rock britannico collega Clash e Jam, gli Smiths, Billy Bragg e gli Housemartins, i Dexis Midnight Runners e gli Azteca Camera, Joseph K, Orange Juice e molti altri nomi ancora.
E’ fin troppo evidente questa contrapposizione di cartoline del nord dai toni pastello e vibranti di northern soul con un più barricadero contesto suburbano, eppure la chiave di volta per serrare la catena della musica inglese che generò l’indie britannico è tutta lì. Ed ai govani Frankie & The Heartstrings il merito di averla ritrovata sul fondo del baule dei nostri sogni.
La copertina dell’ album è fin troppo eloquente.
Per Photograph è anche ridondante parlare di doo-woop e jingle, perchè già i nomi citati avevano attinto a quelle fonti da sempre presenti nel northern soul, magari un pò compresse dalle metamfetamine della ‘mod scene’.
Ungrateful, insieme al taglio di capelli del singer Frankie Francis è un singolone che glorifica gli Smiths senza neanche pensare di volersi porre a confronto.
Hunger è la testimonianza di quanto ci fosse allora la possibilità di tagliare i ponti con il punk a favore di un’attitudine finalmente pop e Possibilities è piena di quella I Fought The Law di clashiana memoria che invece i ponti con il punk li sostiene ma li ridipinge con brio sottraendoli al grigiore metropolitano.
Fragile svela l’animo romantico del pop inglese e mostra un’alternativa reale al brit-pop, un pò come fecero i Suede a suo tempo ma senza quel languore glamour, semmai con un qualcosa di vittoriano insito nel DNA albionico e pronto ad esser ridimensionato quando bisogna spingere sul pedale del ritmo.
Anche gli altri brani risentono di questo clima, orientandosi più sulla Scozia dei gruppi della Postcards Records (ed un brano si intitola fatalmente That Postcard).
It’s Obvious è necessaria a far capire che siamo nel 2011 e a sdoganarlo presso il pubblico giovane essendo un po epilettico alla maniera dei Franz Ferdinand ma poi Want You Back ci riporta nelle sale da ballo degli anni ’80 che imitavano quelle dei ’60, con una calorosa sezione fiati in background.
Anche la conclusiva Don’t Look Surprised è un potenziale singolo in un disco che è tutto un hit-singles e che partendo da presupposti più a noi vicini, quali Editors and Interpol ad esempio, riesce a rispecchiarsi nel lato caldo e solare, per niente rammollito della brit-music, piuttosto che negli abusati clichè di un post-punk che probabilmente con i P.I.L. aveva già detto tutto.
Per i più giovani questo disco è un’occasione per scoprire un pezzo di storia musicale inglese non ancora riciclato, nonchè una speranza che esistano ancora forme di vita dopo Oasis e Coldplay.
Frankie and the Heartstrings – Tender from Carol Lynn on Vimeo.
Frankie and the Heartstrings – Fragile from Carol Lynn on Vimeo.
Autore: A. Giulio Magliulo
frankieandtheheartstrings.com/