Tommy O’Dell, Matt Mason, Johnny Took, ovvero i DMA’s, si muovono a loro agio un indie-rock giovane, assolutamente contemporaneo, che fluttua fra le band più in voga degli ultimi anni, tra Cribs, Virgins, Rifles, e Antlers. In mezzo a questa compagnia, i DMA’s vincono la loro sfida di tirare fuori e confezionare il primo lavoro, ma non convincono né si piazzano fra i primi posti. L’inizio di Hills Ends è promettente: Timeless comincia subito in maniera esplosiva, quasi punk, se non che verso la fine la canzone intensissima e dinamica regala anche un paio di assoli che nello schema punk più rigoroso non esisterebbero mai. C’è la giusta dose di toni cupi, e di batteria picchiata all’inverosimile, caratteristica che ritroviamo anche in Lay Down, che però si apre con un assolo solare, arioso, di tutt’altro genere rispetto alla track iniziale.
Ma pochi accordi di chitarra sulla base ritmica, e frasi piuttosto banali per un pezzo alla fine grintoso ma pop. Delete procede invece come ballata acustica, quasi da boy band, da pezzo hit della settimana (e infatti è il primo singolo, pessima e giusta scelta contemporaneamente). E per questo convince poco, Too Soon recupera ritmi e dinamiche, ma è sempre al di qua di un rock maturo e serio, così come In the Moment.
Qualcosa di più si vede in Step Up the Morphine: la canzone è quanto di più standard si possa immaginare, con chitarre acustiche a iosa che fanno da sfondo a poche note arpeggiata, ma si avverte almeno una sincerità e un’interpretazione forte del vocalist, che la rende quanto mai sofferta e indie.
Finalmente qualcosa di più, giunti ormai a metà album: So We Know è decisamente il pezzo migliore dell’album, pieno di pathos, e profondo, benché suonato naturalmente con gli stessi stilemi (classico impianto rock a quattro strumenti, chitarre acustiche in sottofondo, ritmi a 4/4, ecc.).
Melbourne invece prova qualche invenzione nel finale, e Straight Dimensions nella sua semplicità si distingue per la purezza di suoni, grazie alla chitarra ecoizzata, mentre con Blown Away abbiamo di nuovo una ballata acustica, ma questa almeno non è da falò sulla spiaggia e da boy band. Con questi pezzi si comincia a intravedere qualcosa degli Stereophonics migliori, peccato che siamo già verso la fine, e The Switch non aggiunge nulla a quanto già sentito. Play it Out è un buon congedo, torna una chitarra elettrica forte e protagonista, per un pezzo rigorosamente indie che suona tra quelli migliori di album discretamente ricco di tracce (12), nessuna delle quali però più lunga di 4.30 e nessuna delle quali l’ascoltatore registrerà come memorabile, o innovativa, o originale.
C’è molta musica indie che suona così, e anzi l’indie lo richiede come genere, quindi non è da farne una colpa a questi giovani talenti, ma manca qualcosa ai Dma’s della verve di altre band simili.
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autore: Francesco Postiglione