‘Gennaio 1927… “Cos’era?”. “Non lo so.” Gli si illuminarono gli occhi. “Quando non sai cos’è, allora è jazz.”’, ha scritto Alessandro Baricco nel suo splendido e incredibile “Novecento” (consultata l’edizione Feltrinelli), e la musica Jazz ha “solcato” nel tempo migliaia e migliaia di dischi, giungendo sino a noi, oggi, con immutata forza e vitalità e con la capacità di essere anche un classico contemporaneo.
Di recente, su queste pagine, si è parlato con entusiasmo dell’ultimo lavoro discografico di Immanuel Wilkins “Blues Blood” e della sua partecipazione come sassofonista “alto” nel bel “Beyond This Place” di Kenny Barron.
Si era, poi, colta l’occasione per evidenziare come si stesse vivendo un “periodo florido per il sassofono nelle sue molteplici declinazioni”; e a ben ascoltare, si può affermare che nel complesso stiamo vivendo un periodo ispirato per il jazz (nella sua più ampia accezione), come testimoniano anche le sole tante le belle pubblicazioni che hanno visto la luce negli ultimi anni di questo lustro: ‘Si è scritto della bellissima collaborazione tra i The Messthetics e James Brandon Lewis e, sempre di Lewis, dell’altrettanto riuscito “Eye of I”; ancor prima si è parlato dell’ottimo “Coin Coin” di Matana Roberts e poi anche del riuscito “Fearless Movement” di Kamasi Washington, dell’incredibile “The Love It Took To Leave You” di Colin Stetson e del non convincente “Odyssey” di Nubya Garcia.’; ed ancora (ampliando il raggio d’azione) di Nduduzo Makhathini, di Jaimie Breezy Branch, di Meshell Ndegeocello, dei Fire! Orchestra, di Rob Mazurek (Exploding Star Orchestra), di Yussef Dayes, dei BadBadNotGood, dei Fire!, di Alabaster DePlume, di Moor Mother… solo per citare alcuni artisti di cui si è parlato su queste pagine.
Ora è la volta del “progetto” Out Of/Into che, oltre proprio a Wilkins all’alto saxophone, annovera nomi di spicco della scena jazz, nelle persone di Gerald Clayton (piano), Joel Ross (vibraphone e marimba), Matt Brewer (bass) e Kendrick Scott (drums), compagine che ha dato alle stampe, per la Blu Note, l’ottimo “Motion I”.
Messo il vinile sul piatto, la pregevole “Ofafrii” (composta da Gerald Clayton) affascina da subito con il suo tema, ineccepibile e narrativo, prima che, su una solida e mobile sezione ritmica, si apra la “danza” degli assoli di Ross, Wilkins e Clayton.
Ancora di Clayton è la bella e intima “Gabaldon’s Glide” che anticipa la più sostenuta e “urbana” “Radical” (a firma di Joel Ross).
Chiude il Side A “Second Day” (scritta da Clayton), profonda, scura, meditativa…
Girato il vinile, è il contrabbasso di Matt Brewer a introdurre la splendida “Aspiring To Normalcy” (il brano è a firma proprio di Brewer), composizione che porta l’orecchio verso ambientazioni misteriose e notturne, noir, e che si mostra esatta nei suoi cambi d’intensità; tutto si espande e si contrae in modo perfetto, raccontando storie e disegnando immagini, per incarnare (a parere di chi scrive) con “Ofafrii” il momento più riuscito dell’intero disco.
“Suona” la batteria di Kendrick Scott ed è la volta di “Synchrony” (scritta dallo stesso Scott) che aumenta nuovamente i “giri” ed esalta le parti di assolo di Ross e Wilkins che si muovono con maestria e tecnica su (ancora una volta) un’eccellente sezione ritmica.
I “giri” rallentano e si spengono con grazia nella ballata “Bird’s Luck” (di Clayton) che congeda un disco che testimonia la capacità del Jazz di essere musica che unisce, con innata naturalezza, tanto la tradizione quanto la contemporaneità.
https://www.bluenote.com/artist/out-of-into/