Così diceva Andrea Pazienza, nel suo comics Penthotal. E invece, soprattutto quando si parla di cultura, questo paese sembra essere sempre rivolto all’indietro. Intendiamoci, abbiamo un grande passato, questo è fuori discussione; ma se continuiamo a guardare soltanto quello, senza alcuna attenzione al presente e – soprattutto – al futuro, questo passato sarà sempre più remoto. Alla fine, lo sarà talmente da apparire anche più piccolo.
L’Italia ospita a Venezia una delle più importanti manifestazioni d’arte al mondo, la Biennale; e qual’è il progetto del curatore del Padiglione Italia? Codice Italia.
Per dirla con le sue parole, “un tentativo di ragionare sull’identità italiana, di riscoprire quello che definirei il Codice Italia. (…) ci saranno maestri ormai storicizzati degli anni Settanta, e ci saranno artisti oggi ventenni. Tematicamente, l’approccio si muoverà nell’area fra memoria e attualità: ma la ricerca sarà quella di individuare un punto di vista puntuale ed identitario, uno stile dell’arte italiana…” (1)
E cosa diceva del suo progetto il curatore della precedente edizione? “il padiglione sarà articolato sull’idea che esiste un’identità estetica e artistica italiana, che fa dialogare anche gli artisti di diverse generazioni. Sono fili che possono essere recuperati anche andando molto indietro nel tempo.” (2)
Insomma, a dominare è sempre quest’idea pseudo-identitaria, e rivolta al passato.
Nel frattempo, con intelligenza e coraggio, gli altri paesi presentano artisti contemporanei, e non necessariamente di quel paese.
Questa del passatismo è, a mio avviso, una forma perversa di provincialismo, un modo per sottrarsi al confronto – per sottrarsi al presente… – rifugiandosi in una consolatoria superiorità, che sarebbe testimoniata (appunto) dal glorioso passato.
Perchè il grande vantaggio del passato è che è già lì, non bisogna far nulla per produrlo. Messo comodamente a disposizione da chi ci ha preceduto, consente di adagiarsi e farsene cullare.
Non è forse questo il paese più bello del mondo?
Questo sguardo pervicacemente retrò, unito ad una effettiva grande densità di testimonianze artistiche e culturali arrivateci dal passato, è tra le altre cose una delle concause dello scarso amore per l’arte contemporanea. Che magari fa tanto chic apprezzare in pubblico, ma che poi privatamente nessuno capisce. Però ha il grande vantaggio di essere liberamente commerciabile.
Abbiamo così l’arte del passato, eretta ad icona sacra, e l’arte contemporanea ridotta a merce.
Il paradosso è che poi, di questa icona sacra, abbiamo una pessima gestione. Come una divinità venerata a parole e negletta nei fatti, la cura riservata al patrimonio artistico e culturale, oltre ad essere caratterizzata dai classici mali italiani (scarsità di risorse, burocrazia, complessità legislativa), è improntata alla scarsa manutenzione. Ed è proprio questa, una delle parole chiave dell’Italia odierna.
Come confermato dagli esperimenti sociali di Philip Zimbardo (3) – la teoria delle finestre rotte – quanto maggiore è il degrado in un determinato ambiente, tanto più si manifesta la tendenza sociale a non averne cura o, peggio, ad aumentarne il degrado.
Ciò vale ovviamente soprattutto in ambito urbano, dove la manutenzione del patrimonio monumentale si intreccia con quella più generale (4).
La manutenzione, purtroppo, ha due gravi difetti: è poco visibile, rispetto all’edificazione di nuove opere, e quindi risulta elettoralmente poco appetibile; ed è meno onerosa, e quindi risulta anche economicamente poco appetibile.
Ormai numerose inchieste, giornalistiche e/o giudiziarie, testimoniano di questo scarto, e dei danni – a volte degni del teatro dell’assurdo – che ha prodotto in giro per l’Italia. Abbiamo aree archeologiche abbandonate all’incuria, che però possono vantare portali d’ingresso dall’architettura avveniristica, costati milioni di euro e mai effettivamente utilizzati. Lo sperpero e l’abbandono vanno a braccetto, anzi si alimentano l’un l’altro. Nel paese più bello del mondo, la cui Costituzione prevede la tutela del paesaggio, solo negli ultimi decenni sono stati condonati milioni di edifici abusivi o fuori norma. Si contano centinaia di migliaia di case vuote, eppure si registra una emergenza abitativa. Ed ancora oggi, si continua a pensare che l’edilizia sia uno dei motori primari dell’economia, e che quindi bisogna favorirne la ripartenza.
Ignorando sia il dissesto ideogeologico che la mancata manutenzione del patrimonio artistico e culturale, sia il livello apicale della corruzione in presenza delle grandi opere edilizie che la necessità assoluta di interrompere il consumo di suolo.
Ancora oggi (ma non ancora per molto…) l’Italia è uno dei paesi più ricchi del mondo. E ci si riferisce qui alla ricchezza economica. Ciononostante, la capacità di spesa, e soprattutto il modo in cui questa viene impiegata, risentono di forti squilibri. Tra diverse aree del paese, ma anche tra investimenti (spesso inutili) dalla elevata redditività (economica e politica) a breve, ed investimenti (necessari) dalla maggiore redditività a lungo termine.
Siamo un paese che si è impaludato da solo. Che stenta anche soltanto ad identificare una via d’uscita condivisa, dalla palude in cui s’è cacciato. E che, mentre declina ed affonda, si racconta la favolosa storia del suo passato, senza nemmeno sapercisi aggrappare davvero.
Un po’ come quei figli di personaggi famosi che, soffrendo d’un complesso d’inadeguatezza, si rassegnano ad essere per tutta la vità null’altro che figli di.
http://www.artribune.com/2014/11/codice-italia-di-vincenzo-trione-2-ecco-perche-il-padiglione-non-ci-piacera/
http://www.artribune.com/2014/11/codice-italia-di-vincenzo-trione-2-ecco-perche-il-padiglione-non-ci-piacera/
http://www.lucifereffect.com/about_content_anon.htm
https://www.freakoutmagazine.it/20-01-2014/focus-on/54449/sul-come-larte-pubblica-produce-cambiamenti-sociali/
autore: Enrico Tomaselli