Per chi è cresciuto e ha vissuto l’adolescenza nella Napoli degli anni 90, e in quel periodo ha cominciato ad interessarsi e ad esplorare il rock, non può non avere nel cuore i 24 Grana. Erano altri tempi. Una nuova Italia sembrava nascere dalle ceneri di una Tangentopoli che ci aveva illuso di poter avere una nuova politica. Stanchi dei vecchi politic(ant)i avevamo dato le chiavi del paese a un ex cantante di piano bar divenuto nel frattempo imprenditore edile e delle telecomunicazioni, Silvio Berlusconi, che “scese in campo” nel’94. In Campania succedeva quasi la stessa cosa. Bassolino (primo mandato nel ’93) era la speranza di una città, – quasi un ritorno all’etimologico Nea Polis – che in pochi riuscivano a far sognare (e l’ultimo, Diego, l’aveva abbandonata di nascosto, di notte), gli anni della rinascita napoletana, del G8, di piazza del Plebiscito chiusa al traffico, di una Napoli che “ostentava” il cambiamento. Poi sappiamo come è andata a finire sia in Italia, che in Campania.
Questi anni di “rinascita”, comunque, erano quelli in cui un gruppo di band napoletane decise che Napoli doveva tornare ad essere una capitale della musica italiana, dopo che, come al solito nella città partenopea, i successi e i disastri si erano alternati negli anni precedenti.
Lontani gli anni di Pino Daniele cantore della Napoli degli scugnizzi, di quei seminali Napoli Centrale, dell’Eduardo Bennato, folletto rock controcorrente, del multietnico Avitabile etc…, l’inizio degli anni ’90 ha visto una napoli d’avanguardia, che mescolava reggae, dub, elettronica alla tradizione, uno sguardo più internazionale che conservava il lemma napoletano, anzi ne faceva un grimaldello con cui scardinare la cortina di silenzio sul nuovo neapolitan sound, di cui gli alfieri erano gli Almamegretta, i 99 Posse e ovviamente i 24 Grana di Francesco Di Bella.
Un respiro internazionale, lo stesso che voleva darsi la città, usata in quei lontani anni 90 come esempio di città fenice, in grado di rigenerarsi dalle proprie ceneri. E anche la musica, se non vogliamo usare il termine “politica” (che nell’accezione comune del termine possiamo avvicinare solo ai 99 Posse), possiamo definirla sicuramente “militante”. Sono gli anni di dischi seminali, Anima Migrante, ma soprattutto Sanacore (95) degli Alma, Curre Curre guaglio’ (93) dei 99 Posse e Loop (97) dei 24 Grana.
La voce di Francesco Di Bella, sbilenca e trascinata nel suo napoletano, calda e roca, sempre in bilico – differente dalla sensualità mediterranea di Raiz o dal grido di protesta di Luca “Zulù” Persico, rispettivamente cantanti di Alma e 99 –, testi impegnati che parlano di carceri, di Napoli, costanza (declinata in vari testi e forme), sensazioni e suoni tra dub, reggae, elettronica, e rock sono un marchio di fabbrica di questo gruppo di ragazzi napoletani (assieme a Francesco Di Bella c’erano Renato Minale, Armando Cotugno e Giuseppe Fontanella che entra nel gruppo nel ’96).
Di Bella diventa ‘o cardill’ napolitano, dal titolo della cover, “Lu cardill”, che li porta alla ribalta nazionale e i 24 Grana cominciano a costruirsi uno zoccolo duro di fan (grazie anche alla loro voglia di live, che diventerà uno dei marchi di fabbrica dei 24) che li seguirà in tutti questi anni e nei loro cambiamenti.
La poetica dei testi, spesso crudi, “esistenziali” di Di Bella hanno segnato senza dubbio un’epoca, una fase che non vuole chiudersi. Lontano dal bisogno mainstream di “arrivare” con qualunque mezzo, i 24 Grana sono riusciti a crescere e creare consenso anche con testi non semplici (penso a quelli sulle carceri, ma anche “Vesto sempre uguale”). E così Loop, Metaversus, K Album, Underpop, Ghostwriters fino a ieri erano i pezzi di una storia che fortunatamente non ha ancora trovato un punto.
E alla fine come possiamo sopravvivere a questo presente? Stando uniti, probabilmente, dato che siamo tutti “Sulla stessa barca” come recita proprio l’ultimo lavoro del gruppo (che ha sostituito per l’occasione Nando Cotugno, in anno sabatico, con Alessandro Innaro, già EPO).
Album che tra le tante novità ha quella di essere stato registrato in presa diretta da uno dei guru della produzione americana: Steve Albini. Agosto, infatti, è stato per i 24 Grana il mese di Chicago, città in cui assieme al leader degli Shellac hanno definito quale sarebbe stato il sound dell’album.
Un sound diverso da Ghostwriter ovviamente, molto più ruvido e più energico, una differenza che però si rimargina nei testi che da un lato sono lo sbocco naturale del percorso musicale del gruppo, e la continuità testuale col precedente in alcuni passaggi la si nota, e dall’altra si irruvidisce nei topos che da sempre caratterizzano le tematiche del gruppo. E così, ad esempio, dopo pezzi stodici come Patrie Galere, Kanzone su un detenuto politico, Carcere, ecco Malevera, che torna sul tema delle carceri tanto care a Di Bella, con un evidente richiamo al caso Cucchi. Se è vero che le condizioni delle carceri italiane sono pessime e dal 2000 ad oggi i morti in carcere sono stati 1736, di cui 626 suicidi – contando solo il 2010 circa 66 – e a parlarne sono in pochissimi, possiamo dire che i 24 Grana sono stati avanguardia e continuano ad esserlo.
Il sociale che si declina anche nella quotidianità del guappetto Salvatore, all’amore perso di Cenere e Ce pruvat’ Robe’.
Una delle capacità dei 24 Grana è quella di riuscire a piantarti in testa ritmo e parole dopo pochissimo tempo. “Turnamm ‘a casa” ce la si ritrova a canticchiare continuamente, martella nel cervello in continuazione così come Ombre, il primo singolo estratto, che è un esempio lampante della capacità di evocazioni di immagini, e di scrittura di Di Bella.
La capacità di gestione della parentesi statunitense ha portato il gruppo a non voler strafare, azzardando il giusto, rimanendo, però, nel marchio 24 Grana che volente o nolente ha caratterizzato tutti gli album, anche quelli che i fan hanno considerato “di rottura” (vedi Ghostwriter).
Nessuna ricerca dell’ovvio singolo in inglese, né tantomeno – e questo ce l’aspettavamo meno – la decisione di non abbandonare la prevalenza dei testi in napoletano (e di questo da napoletani gliene siamo grati). Ma la lingua che plasma le ritmiche de “La stessa barca” e non solo, non sono un ostacolo alla comprensione della musica e soprattutto della poetica del gruppo, e forse lo sforzo di tradurre qualche parola nel booklet è uno sforzo che si poteva evitare. La potenza di Di Bella la si nota in quel napoletano che di aulico non ha nulla, ma che traspare in maniera chiarissima anche dai due pezzi “italiani” dell’album.
Con l’abbandono di Cotugno probabilmente il gruppo era arrivato a un bivio. Ha deciso la strada forse più difficile, quella di proseguire quel progetto nato e sviluppatosi in un periodo che sembrava d’oro (o almeno d’argento) e lo ha fatto rilanciando, rischiando.
I 24 Grana sono cresciuti, tra figli nati e che nasceranno, nuovo staff, nuove collaborazioni, parentesi Usa. A noi piace così, alla faccia di quelli che ogni momento è quello giusto per dire che “però 10 anni fa”. 10 anni fa erano altri tempi, altre vite, altri album. Che i 24 Grana siano da esempio alla città che li ha cullati e adorati e che questa possa fare come loro. Ché un rilancio, il rimettersi in gioco spesso è sintomo di coraggio e soprattutto spesso è vincente.
Autore: Francesco Raiola
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