All’inizio del 2023 Father John Misty ha fatto il tutto esaurito all’Hammersmith Apollo, prima di tornare un paio di mesi dopo per eseguire le canzoni di Scott Walker al Barbican, accompagnato da Jules Buckley e dalla BBC Symphony Orchestra. Durante l’estate è tornato a Londra per esibirsi ad Hyde Park come ospite speciale di Lana Del Ray. Nel frattempo il suo ultimo disco Chloë and The Next 20th Century, era entrato al #2 nella classifica degli album in UK.
Ora, a fine 2024, mentre annuncia le date del tour in UK e Europa per aprile 2025, compresa una performance alla prestigiosa Royal Albert Hall di Londra, pubblica con la fedelissima Bella Union il suo sesto album come Father John Misty (pseudonimo a cui ha affidato tutta la sua produzione dal 2010 a oggi, mentre come Josh Tillman aveva esordito come batterista dei Fleet Foxes e aveva cominciato la carriera solista), dal titolo Mahashmashana, prodotto da lui stesso e da Drew Erickson con la produzione esecutiva di Jonathan Wilson.
Mahashmashana contiene otto canzoni ma ha una durata piuttosto lunga (50 minuti) soprattutto considerando la title track e manifesto del disco, che dura da sola 9,20 minuti. Dall’album sono stati estrapolati i singoli I Guess Time Makes Fools of Us All, She Cleans Up, Screamland e Josh Tillman and The Accidental Dose, gli ultimi due mixati da BJ Burton.
Due sono le novità assolute di questo disco nella carriera di Josh/Father John Misty: la prima, più che altro aneddotica, è che mai aveva prodotto così tanti singoli da un solo disco, segno che Tillman crede molto in questo progetto. La seconda novità, decisamente più appagante per i fan, è che Tillman fa bene a credere e investire in questo disco, dove c’è una svolta sonora completa: dal post-folk solitario e silenzioso degli esordi, man mano, passando per la sua produzione degli anni 2010-20, Josh ha evoluto e arricchito il suo suono finendo per fare prima folk strumentale e orchestrale, poi vero e proprio rock-country. Ma non si era ancora sentito nulla di così pieno, così ricco, così vario come in Mahashmashana, un album capolavoro per eclettismo musicale e sonorità.
Cominciamo proprio dalla title track, inevitabilmente il suo pezzo più importante in questo disco, dato che dura ben 9 minuti: intro orchestrale completa, armonie sinfoniche, decine di strumenti in piena ensemble, per la quale Tillman ha chiamato alle armi tutta la sua storica band (alla chitarra Chris Dixie Darley e David Vandervelde; al basso Eli Thomson; alle tastiere e piani Kyle Flynn e Jon Titterington; e alla batteria Dan Bailey).
Sembra di ascoltare un’orchestra classica completa, su cui comincia la voce limpida e calda, raramente così appassionata e coinvolta, di Josh a cantare. Della chitarra, nessuna traccia, fra pianoforti e archi. La canzone che in sanscrito significa “campo di cremazione” racconta di una apparizione femminile a una festa, un momento epico, lirico e mistico, raccontato da una musicalità veramente spettacolare, irresistibile, splendida, solare, il contrario esatto dell’intimismo a cui Josh ci ha abituato in alcuni suoi lavori. Mahashmashana semplicemente si candida a essere una delle canzoni più belle dell’anno, con il suo incredibile sound classico per la quale sembra uscita dalla penna di un Elton John o di un Leonard Choen.
Nello stesso spirito religioso che si fa carne e sangue concreta, She Cleans Up introduce la figura di Maria Maddalena che arriva a salvare il mondo e appunto a “ripulirlo” dal fango. La canzone però è lontanissima dall’essere un salmo religioso o qualcosa del genere: esplode di ritmo e di ironia, e sembra qui di sentire un pezzo degli U2 degli anni 2000, un rock ballabile di puro ritmo e chitarra, su cui Tillman, con voce completamente diversa dal primo pezzo, quasi fa un rap per raccontare questa nuova visione mistico-ironica.
L’ultimo singolo in ordine di pubblicazione, Screamland, un’altra epopea di 7 minuti che vede la partecipazione di Alan Sparhawk dei Low alla chitarra e un suggestivo arrangiamento di archi scritto da Drew Erickson, è un altro pezzo incredibile del disco. Comincia come ballad al piano, e all’inizio è la canzone più simile al repertorio delle origini del cantautore. Ma già al primo minuto cresce sempre più di sound, di epica, per esplodere poi in una odissea post-rock piena di chitarre ecoizzate e suoni distorti. E’ una canzone totalmente lirica, dove il ritornello “L’amore dovrà trovare una strada, dopo tante soluzioni disperate un miracolo deve per forza accadere” racconta bene del momento particolarmente mistico e religioso che Father John Misty sembra vivere in questo disco, dove le canzoni parlano di tutti, di noi, del mondo, di speranza e attesa, e l’autore stesso insiste a dire che questo disco è il risultato di un lavoro di completa “cancellazione di me stesso”. Estefania Kröl dice del video: “E’ un viaggio visivo attraverso le profondità della canzone e cattura l’essenza sia della musica che degli artisti. Father John Misty si fonde perfettamente nella scena, diventando parte della città, un eco vivente di Screamland.
Il bellissimo singolo I Guess Time Just Makes Fools Of Us All, (anche questo di 8,36 minuti) cambia di nuovo completamente sonorità. Father John Misty sceglie sempre la soluzione di riferirsi ai classici, e qui la sonorità Emerson Lake And Palmer, pienamente seventies, con tanto di sassofono finale, è impressionante, tanto quanto è impressionante che in queste quattro canzoni (tre singoli più la title track) ci siano melodie musiche e stili completamente diversi. Il singolo è uscito il mese scorso anche nella compilation di Father John Misty ‘Greatish Hits…’, è stato elogiato da Pitchfork (“26 Contenders for Song of the Summer”), The Observer, NME, The New Cue, The Line Of Best Fit ed Esquire (“25 Best Songs of 2024, So Far”). Che, per inciso, hanno contribuito a collocare l’album, su una base analizzata di 20 recensioni, all’85% della classifica di Metacritic.
Su un disco che fino ad ora, per metà delle otto canzoni, già rappresenta un capolavoro assoluto (e non soltanto probabilmente il più bel disco di Tillman) si inserisce poi il quarto singolo Josh Tillman and the Accidental Dose, ed è ancora un’altra svolta e sorpresa sonora: la canzone fa una metacitazione delle sue eredità ricordando al secondo verso il grande Van Morrison (“She puts on “Astral Weeks”) e infatti è tutta incentrata su sonorità morrisoniane, contaminate di puro jazz, dunque ancora diverse da quanto sentito negli altri pezzi.
L’album fin qui stupendo ha però ancora da raccontare Mental Health, che è un’altra canzone orchestrale classica strutturata sul pianoforte, vero e proprio strumento cardine di questo disco, ma che si apre ad archi, violini, atmosfere da musical romantico. Un’altra autentica sorpresa del disco.
Being You e Summer’s Gone, gli ultimi due pezzi da citare, si muovono su uno stile più dimesso, Being You addirittura portando un’intro in cui c’è solo batteria e voce. Si riscopre qui lo stile minimalista di Tillman, ma certamente siamo molto lontani dal post-folk degli esordi. C’è comunque tanto swing e jazz in questi due pezzi, tanto musical e teatralità, come peraltro per tutto il disco, che è un autentico atto di coraggio: chi affiderebbe in pieno quarto di XXI secolo un disco all’orchestra e al pianoforte, al sassofono e al contrabbasso, al pianoforte e ai violini, protagonisti per esempio in Summer’s Gone?
Josh Tillman lo fa, e sa che non deve rendere conto, forte di una carriera trentennale, prima con i Fleet Foxes, poi come turnista per Lana Del Ray e Lady Gaga, e infine come solista, cantautore folk, e ora direttore di orchestra per un disco incredibilmente ricco e opulento di musica e stili.
Un album che ridefinisce la sua carriera e i suoi riferimenti musicali, e lo lancia come uno degli artisti più apprezzati di questo quarto di secolo.
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