In occasione della pubblicazione di Aporia in coppia con Lowell Brams, pochi mesi fa, avevamo immaginato che l’interesse di Sufjan Stevens per la musica new age lì esplorata potesse essere soltanto una parentesi, ma nel nuovo atteso album appare subito chiaro – già dal titolo e dalla copertina, in effetti… – che quel tipo di linguaggio musicale interessa ancora al musicista di Detroit, che artisticamente appare in forte trasformazione verso tematiche sempre più interiori, malgrado The Ascension incorpori in qualche modo tutto il suo percorso musicale, dall’esordio new folk del 2000, alla svolta elettronica di 10 anni fa, e alle tematiche spirituali.
The Ascension è un disco di ben 82 minuti con uno slancio trascendentale di fondo e tuttavia, a differenza di Aporia, è un lavoro electro pop, con episodi anche fisici, ballabili, ma molto sofisticato: la scrittura è ambiziosa rispetto alla media dei lavori electro, e non manca il contatto con la quotidianità, perché Sufjan Stevens avverte l’urgenza di parlare dell’America di oggi con uno sguardo addolorato, deluso, che attenzione non riguarda la mera questione politica per la Casa Bianca, ma guarda piuttosto con lucidità al fallimento inappellabile dell’intero sogno americano, della millantata investitura “divina” quale terra promessa, dell’America: la fantomatica tesi del “Destino manifesto”, insomma.
“Questa è una canzone di protesta contro la malattia da cui è affetta la cultura americana”, ha detto Sufjan presentando ‘America‘, splendida canzone di 12 minuti dalla struttura elettronica della suite progressive, orecchiabile e varia, primo tassello scritto per questo nuovo disco, composta in realtà ai tempi di Carrie & Lowell ma scartata allora perché estraneo al noto tema luttuoso lì affrontato.
Dio è un tema centrale ma tremendamente conflittuale nella poetica del cantautore, che di recente così ha puntualizzato il proprio pensiero, via social network: “Credere significa amare i propri vicini e i propri nemici, servire i poveri, dare via tutto e mettersi all’ultimo posto. Questo va contro tutto quello che il Mondo vi ha insegnato, va contro il vostro istinto, e certamente contro tutte le leggi sulla libera impresa e gli interessi delle aziende. Il denaro, il potere e i governi sono falsi dei”. Più chiaro di così…
Ora, detto così può sembrare che The Ascension sia musica per la settimana santa, ma non è così.
Il disco procede infatti gradevole e molto avvolgente (‘Lamentations‘ e ‘Video Game‘ sono piuttosto radiofoniche), malgrado sia decisamente troppo lungo e mostri ogni tanto la corda non perché la qualità cali, ma piuttosto perché alcuni episodi sembrano battere puntualmente su una forma espressiva fin troppo precisa, e gli episodi migliori finiscano per diluirsi in 82 minuti. Il videoclip di ‘Video Game’ vede protagonista Jalaiah, giovanissima eroina di TikTok che balla una delle sue coreografie semplici ma che fanno impazzire i teenager, su un brano electropop slow tempo che ricorda Bath for Lashes e M.I.A., mentre l’altro singolo è ‘Sugar‘, associato ad un videoclip elegantissimo per un brano sentimentale, malinconico.
Il cuore del disco batte però altrove: in ‘Make me an Offer‘, ‘Ursa Major‘ ed ‘Ativan‘, tra le cose più riuscite, con articolate, ambiziose strutture folktroniche in odor di Radiohead, Mùm e Notwist, ed ai vertici c’è anche l’estatica, celestiale ‘Run Away with Me‘.
Sufjan Stevens si conferma autore centrale nella musica pop con un disco difficile e tormentato, figlio di un’urgenza espressiva sincera e ammirevole; non il suo capolavoro, ma quanto basta per mettere in riga tanto cantautorato pop elettronico del 2020.
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autore: Fausto Turi