Special: Exit Verse (recensione + intervista)
Che i Karate sian stati una delle più grandi bands del decennio in cui hanno operato è un’opinione che trova conforto in molti dei nostri lettori.
Quando i bostoniani son mancati, una sensazione di grave perdita, di lutto artistico, l’abbiam sicuramente provata. Però al contempo anche un senso di sollievo.
Sollievo perché quei sei albums ufficiali, quella collezione troppo perfetta, nessuno avrebbe potuto più alterarla o rovinarla.
Ai Karate non sarebbe dunque mai successo quello che abbiamo visto troppo spesso accadere ad altre formazioni in merito ad ostentati prolungamenti di carriere ormai prosciugate e prive di qualsivoglia nerbo creativo.
E poi sarebbero finalmente anche terminate quelle noiose allusioni di appartenenza ad una presunta scena post-rock da parte di un pubblico mediamente superficiale e facile all’affrancamento in definizioni di massima suggerite da certe geometrie spigolose.
Una comprovata inclinazione accademica al jazz, una filialità al post-punk americano più viscerale (leggesi primo indie rock) e un franco songwriting infinatamente più ‘classico’ – sempre nel senso americano del termine – erano invece le basi fondanti del quartetto poi trio del Massachusetts.
E se le prima componente fosse fin troppo chiara e la seconda solo per metà, è sull’ultima che il tempo ci ha dato ragione.
Seguendo le orme di Geoff Farina un’idea di cosa sarebbero potuti diventare i Karate avremmo potuto farcela: Secret Stars, Glorytellers, Ardecore e varie prove soliste gli indizi.
Certo, idee che nessuno potrà mai confermare, ma le motivazioni del cantante e chitarrista non sono mai state un segreto per nessuno: ‘abbassiamo i volumi!’.
E’ per questo che una sorpresa quale Exit Verse ci riempie di trepidazione: Farina ritorna al rock, almeno per un po’. Ed un trio ‘rock oriented’ da lui capeggiato è già tanto per far festa.
Gli altri compagni d’avventura sono John Dugan alla batteria e Pete Croke al basso, personaggi legati all’aristocratica scena indie di Chicago.
Naturalmente non c’è da aspettarsi un ‘Karate reload’; nessuna operazione commerciale e niente aria di revival, per fortuna.
Il rock degli Exit Verse è una boccata di aria pura, una sortita in una giornata di sole.
Gli accordi, i riff e l’atteggiamento complessivo della band interpretano gli stati d’animo del miglior blue-collar suonato con piglio emocore il più positivo possibile (questa si una traccia Karate).
Niente ombre, malinconie o ricordi logoranti. Basterà quella voce monotono che non diventa mai monotona e quel suo sgranare note sul manico con inarrivibile grazia e fluidità da consumato jazzista a riscaldarci il cuore.
Se poi in Seeds ritroverete delle cose che non possono non rimandarvi indietro ‘a quel tempo’ ed ancora di più succederà in Fiddle & Flame non ve ne farete certamente un cruccio, anzi apprezzerete ancora di più l’insospettabile vena power-pop che emerge in brani come Perfect Hair ed il risultato sarà che oggi come allora un disco così lo consumerete senza stancarvi mai.
(Intervista a Geoff Farina)
Bentornato Geoff, e grazie per essere qui con noi con un così eclatante ritorno al rock. John Dugan e Pete Croke: come mai la scelta di tali compagni d’avventura?
John era nei Chisel e siamo amici da quando i Chisel e i Karate andarono in tour insieme negli anni ’90. Pete invece lo incontrai ad uno show della sua band, i Reds In Blue, mi disse che era un fan dei Karate e gli ho chiesto se volesse suonare insieme.
La musica degli Exit Verse esprime stati d’animo positivi, sembra più solare. Ci sono stati cambiamenti tali nella tua vita per cui oggi la tua scrittura ci appare così?
Credo che l’ultimo album dei Glorytellers fosse molto triste ed ho voluto provare a fare qualcosa di più ottimistico, non che ci siano stati troppi cambiamenti nella mia vita ma ho voluto scrivere musica con un feel più positivo.
Trovi che nei brani degli Exit Verse ci siano elementi che richiamano il passato? C’è uno sguardo verso il rock degli anni ’70?
Certo. Ho ascoltato molto gli Stones, i Faces, i Thin Lizzy e tanto altro rock degli anni ’70 quando ho scritto queste canzoni, quindi ne sono stato sicuramente contagiato.
Si assimilava la musica dei Karate al movimento post-rock. Io personalmente non ho mai trovato nulla di post-rock nei Karate. Come Karate ti sei mai sentito parte di quella o di qualsiasi altra scena?
Credo che i Karate non siano mai stati parte di una scena. Eravamo troppo nerd per la scena indie rock, almeno in America e poi siamo sempre stati coinvolti da altri tipi di musica. Ad un certo punto abbiamo cominciato a fare le nostre cose e la gente le ascoltava, non c’è mai stato quindi bisogno di associarci ad una particolare scena o genere musicale.
Si disse che i Karate si divisero per una tua intolleranza verso i suoni ‘grossi’. E’ vero?
In parte. A causa di troppi concerti ‘loud’ e prove ad alta voce ho alcuni problemi di udito che ho imparato a gestire. Penso che i Karate avessero terminato il proprio percorso. Dodici anni sono tanti per qualsiasi band e personalmente avevo voglia di provare cose nuove.
Pensi sarà mai possibile una reunion, anche estemporanea dei Karate? Hai ancora rapporti con Eamon Vitt e Gavin McCarthy? Sai cosa stanno facendo?
Siamo ancora tutti amici e ci sentiamo un paio di volte l’anno ma non abbiamo piani per una reunion.
Exit Verse è un progetto temporaneo o una band destinata a durare?
Siamo qui per restare e già stiamo scrivendo brani per il prossimo disco.
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autore: A.Giulio Magliulo