di M. Martone, con T. Servillo, L. Lo Cascio, V. Binasco, Francesca Inaudi, M. Riondino
“Allònsanfan”, “In nome del popolo sovrano”, “Viva l’Italia”, “Il Gattopardo”, non è lunga la lista dei film italiani che si sono occupati del Risorgimento sul grande schermo, a questi si va ad aggiungere l’ultima opera di Mario Martone “Noi credevamo”, già presentata a Venezia dove ha raccolto otto minuti di partecipati applausi.
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l Risorgimento resta tutt’oggi una delle pagine della storia patria su cui permane poca conoscenza, nonché una generale confusione, ma non sono queste le ragioni della parziale riuscita dell’opera di Martone. Liberamente ispirato al romanzo omonimo di Anna Banti, il film è suddiviso in quattro episodi, ognuno legato al racconto di fatti che si svolgono in epoche e luoghi diversi. Salvatore, Angelo e Domenico sono tre giovani cilentani che si affiliano alla Giovine Italia perché credono fermamente nella possibilità di unificare il paese; ben presto, però, assisteranno alla demolizione dei propri sogni e alla separazione dei propri destini a causa delle impreviste svolte dei moti insurrezionali cui avevano preso parte. Salvatore è sospettato di spionaggio, Angelo compirà il suo destino parecchi anni dopo in terra di Francia, Domenico sconterà quasi tutta la vita in carcere e, una volta libero, si ritrova davanti un’Italia unita che è ben lontana dal paese che credeva dovesse diventare.
“Noi credevamo” è il racconto della nascita di una nazione che reca in sé fin dalle sue fasi embrionali quei drammi e quelle miserie che la attanagliano ancora oggi: corruzione, ideali confusi, diseguaglianza sociale ed economica. Un’epopea che attraversa la penisola, che parte dalle terre del Cilento e arriva fino alle aule del Parlamento di Torino, anima vacante di un paese in cui gli uomini stentano a riconoscere sé stessi.
All’interno di questo quadro realistico ottocentesco, girato senza vistosi movimenti di macchina, con una fotografia secca, lontana da ogni estetismo, si distinguono le figure di coloro che fecero l’Italia: Mazzini (Toni Servillo), Felice Orsini (Luca Caprino), Francesco Crispi (Luca Zingaretti), Carlo Poerio (Renato Carpentieri), la principessa di Belgiojoso (Francesca Inaudi). Su tutti, però, la pellicola vuol dare risalto ai racconti di quegli uomini comuni che a stento vengono menzionati nei libri di storia, coloro che hanno realmente combattuto e sofferto per dare un volto nuovo al paese.
E’ all’ottimo Luigi Lo Cascio che Martone affida la narrazione di Domenico, figura chiave che riconduce ad unità tutte le fila del discorso. La sua recitazione concreta e minimalista è in grado di appassionare lo spettatore anche nei momenti in cui il film non decolla, causa l’eccessiva lunghezza di alcune parti in cui ci si perde in una narrazione senza ritmo. Bravo anche Michele Riondino, nei panni di un giovane aspirante garibaldino e Valerio Binasco che interpreta Angelo adulto. A Martone va sicuramente riconosciuto il merito di aver messo in piedi un faticoso film in costume, con centinaia di comparse, a budget limitato, un kolossal, se vogliamo; 170 minuti in cui sono stati compressi gli avvenimenti di oltre quarant’anni di storia. Peccato per i soliti problemi di distribuzione: sono solo trenta le copie in giro per l’Italia. Si pensa di farlo vedere nelle scuole, ai più giovani, considerato il suo valore didattico. Rai Cinema, che lo ha prodotto, ha invece annunciato che lo trasmetterà prossimamente sul piccolo schermo diviso in puntate.
Autore: Vittoria Romagnuolo