Valeria Parrella. Con le sue storie ha raccontato la Napoli quotidiana di questi ultimi anni, direttamente da lì, dal ventre di Napoli, da quel centro storico dove la puoi incontrare ogni tanto. In quei decumani dove vivono molti dei suoi personaggi, dove quegli stessi personaggi li incontri ogni giorno e di cui la Parrella, esordio fulminante e già talento confermato, ti racconta i sentimenti.
In principio furono i racconti di “Mosca più balena” (Premio Campiello 2004, e selezionato per lo Strega dello stesso anno) e “Per Grazia Ricevuta” (finalista Strega 2005), poi è arrivato il suo primo romanzo, quello che tutti aspettavano con ansia (in Italia c’è sempre qualcuno che aspetta con ansia un romanzo dopo i racconti, come se Carver non fosse mai esistito).
“Lo spazio bianco” è una storia commovente, che mette in primo piano la figura di Maria, donna single incinta, costretta a partorire al sesto mese. Si è parlato di storia autobiografica o meno, ma questo non importa, quello che importa è che con questo libro la Parrella ha confermato le sue doti di narratrice capace di confrontarsi col racconto medio e medio lungo, esplorando altri territori più intimistici; ci ha dato un libro molto bello, che continua ad avvalersi dello sfondo partenopeo, uno sfondo attivo, però.
Da questo libro Francesca Comencini ci ha tratto un film, presentato al Festival di Venezia lo scorso settembre.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Valeria.
Partirei subito da una cosa che m’ha colpito, ovvero il titolo francese della raccolta di alcuni tuoi racconti tratti da “Mosca più balena” e “Per Grazia Ricevuta”, ovvero “Le ventre de Naples”. Un peso o un merito conquistato sul campo?
Io non ero assolutamente d’accordo, ma il copyright esiste solo in italiano, quindi si è potuto fare. Mi ha consolato sapere che la parola ventre è molto più generica del nostro ventre, che invece è arcaicizzante e nobile. Per esempio in francese si può dire che a uno fa male le ventre!
Quanto credi che un libro del genere possa essere capito in una realtà che è completamente altra da quello che racconti? Come è stato accolto?
I giornalisti lo hanno apprezzato. Io non credo che ci siano chiavi di interpretazione in letteratura: un racconto o piace o no.
Grande successo a Venezia per “Lo spazio bianco” il film di Francesca Comencini tratto dal tuo ultimo libro. Che effetto fa vedere materializzati sullo schermo personaggi, espressioni, sensazioni, che finchè erano nel libro erano a disposizione di tutti e ognuno poteva pensarli e costruirli come voleva?
Infatti la protagonista bionda! Che dire, la Comencini ha trovato una sua poetica che è diversa dalla mia ma ne ha assorbito il senso, quindi penso sia un buon film.
È il solito problema delle trasposizioni, lo so. Cosa credi che un film possa dare in più al libro. E nel caso particolare, quale è stato l’aspetto che maggiormente ti ha entusiasmato?
La fotografia e l’interpretazione della Buy.
A proposito, ho saputo che una parte del film è stato girato a casa tua. Che effetto fa ritrovarsi una troupe in giro per casa?
Io sono andata a vivere altrove, però quando raccontavo di avere la Buy nella vasca da bagno facevo molto invidia agli amici.
In una famosa prefazione ai suoi racconti Thomas Pynchon faceva un’analisi (molto) critica dei suoi vecchi racconti: parlava dei personaggi, della lingua, delle idee su cui si basavano molti di quei racconti. “Mosca più balena”, il tuo primo libro è stato rieditato a giugno, cambieresti qualcosa di quei racconti?
Sì lo “allungherei”. Scrivevo in un modo così ellittico che certe cose non le ho capite più neppure io. Però quella freschezza l’ho persa, o perlomeno trasformata.
Con “Ciao maschio” torni alla scrittura teatrale dopo “Il Verdetto” e “Tre terzi”. Di cosa si tratta?
La storia di una donna di 60 anni che in una sola notte si trova ad avere a che fare con tutti gli uomini della sua vita, lei è la protagonista, e gli uomini sono il coro. Una tragedia!
Come procede l’esperienza alla direzione artistica del Mercadante e del San Ferdinando?
Comitato artistico, per l’esattezza, che è molto diverso. Mi sembra di non riuscire a dare tutto ciò che potrei ed è un senso di frustrazione che viene dalla città più che dal ruolo. Per il resto imparo molto e l’ambiente è composto di 10 persone – dico dieci di numero – straordinarie, generose.
L’altro giorno ascoltavo un dibattito in cui si parlava di scrittori napoletani; quelli che resistono e quelli che cedono e vanno via. Tu resisti. Riusciresti a scrivere lontano dal caos del centro storico?
Un mio amico di Lisbona mi ha chieso se io davvero ho bisogno del “nervo” di via Duomo. Ma è un mio lettore, quindi la domanda era retorica. Anche la tua.
Credi sia cambiato qualcosa nell’approccio al racconto di Napoli nel dopo Gomorra? Cosa?
Sì, l’altro giorno a New York per il lancio del mio secondo libro tradotto in americano, due persone in due giorni mi hanno chiesto di Gomorra. Ha creato un precedente, un immaginario. I libri buoni costruiscono mondi, veri, verosimili, o no. Poco importa.
Napoli è una città vitalissima a livello di scrittori e scrittrici (e con “I quaderni del san Ferdinando” tu con Pavolini e Saponaro avete cercato di dare credito a questa realtà). Sembra però che sia una generazione sfilacciata; manca una sorta di amalgama, di “scuola” (per usare un termine non proprio appropriato). Quanto la mancanza di una grossa casa editrice, che faccia da punto di riferimento per discutere, incontrarsi etc… può esserne la causa?
No, l’italia è sfilacciata: casa Compagnone non esiste più ma neppure casa Bellonci. Gli intellettuali si chattano su facebook o si chiudono nel si salvi chi può.
Credi che oggi quello “strano avvenimento” (per i canoni editoriali odierni), un po’ spregiudicatezza un po’ innocenza, che ti ha portato a pubblicare mandando semplicemente un racconto a una casa editrice – Minimum Fax nel caso specifico- sia ancora possibile?
Ma sì ma sì.
Qual è uno scrittore/scrittrice a cui attribuiresti tutto il bene che è stato detto della Parrella esordiente (ottima costruzione dei personaggi, capacità di raccontare una città senza cadere in luoghi comuni, ma al massimo sfruttandoli, etc…)
Letizia Muratori.
Autore: Francesco Raiola