Diretto e puro è il bell’esordio omonimo dei The Hard Quartet (Matador Records), un lavoro discografico tanto immediato quanto complesso, in cui la matrice rock è elaborata, codificata e declinata nei molteplici linguaggi che abbracciano un arco temporale che ha, agli estremi, la nostra contemporaneità e un passato al contempo vicino e lontano.
È così, con “The Hard Quartet”, Stephen Malkmus, Matt Sweeney, Jim White e Emmett Kelly hanno compiuto un piacevole miracolo, restituendo un LP di pregio.
Pleonastico è ripercorrere la carriera dei quattro musicisti, tanti sono i meriti che si dovrebbe ricorrere ad apposita “appendice”; per “archiviare” il caso basterebbe solo pensare che Malkmus ha dato alle stampe con i Pavement il seminale “Slanted and Enchanted” (nel 1992) e Jim White con i Dirty Three l’eccelso “Ocean Songs” (nel 1998).
Apre il primo lato del primo LP “Chrome Mess” e, abrasiva, esplosiva e “sporca” che è solo degno preludio alla meravigliosa “Earth Hater”, perfetta in ogni suo aspetto, dal riff, alla linea vocale, al “lunatico” incedere carico di psichedelici umori anni sessanta (per lo scrivente il brano più bello del disco).
Se altrettanto riuscita è la splendida “Rio’s Song” dalle nuance folk/glam, “Our Hometown Boy” gira con piacevole “orecchiabile” ruvida grazia.
A spezzare le spigolose morbidezze e a chiudere un Side 1 di tutto rispetto, ci pensa il baccanale lo-fi di “Renegade”.
Girato il vinile è il tempo della “sostenuta” ballata “Heel Highway” in stile “seventy” prima che echi di country salgano sulla diligente “Killed By Death”.
Il secondo lato del primo vinile conserva una maggiore “delicatezza” anche con “Hey”, posata pure nelle parti incalzanti e con sghembe incursioni di chitarra che la segnano di brillante luce.
Su sponde più oniriche e cupe approda il viaggio di “It Suits You” che getta la salda ancora del primo dei due LP.
La bella ballata indie “Six Deaf Rats”, anch’essa di stampo “tradizionale”, apre il secondo vinile che anticipa l’ottimo multiforme rock di “Action For Military Boys”, strutturato in forma “retrò”, composita, con momenti tutti esatti nella loro diversità.
Se con “Jacked Existence” si torna al formato ballata, intensa e profonda è “North Of The Border”, con il suo continuo precipitare.
Mentre “Thug Dynasty” evoca, tra i solchi, umori acidi da west coast, “Gripping The Riptide” si mostra riflessiva nell’incedere cadenzato e dei ricami di chitarra e batteria.
Terminato l’ascolto, anche i potenziali punti deboli dati dalle numerose tracce composte e eseguite da diverse personalità e da una qualità sonora più “istintiva” che “sofisticata”, si dimostrano vincenti per un lavoro discografico ottimamente riuscito in ogni sua parte.
https://thehardquartet.com/
https://www.instagram.com/thehardquartet