Premetto che non ho mai amato né i Porcupine Tree né i lavori solisti di Steven Wilson, rei (a mio parere) di un’eccessiva ricerca di “maniera” e di una troppo spesso “patinata” veste estetica, carica di eccessivi richiami a un “illustre” passato; per onestà intellettuale, c’è però da dire che Wilson ha comunque consegnato alla musica con i Porcupine Tree gli ottimi “On The Sunday Of Life” e “The Sky Moves Sideways” e gli altrettanto (se non anche più) interessanti “Wild Opera” e “Together We’re Strangers” con i No-Man (innumerevoli sono le collaborazioni e partecipazioni di Wilson), e che si è meritatamente imposto sulla scena, come solista, con il bel “The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)” del 2013 (scritto e pubblicato forse solo in ritardo di mezzo secolo), definitiva conferma di quanto di buono già anticipato con il precedente “Grace for Drowning”.
Wilson, poi, passando anche per l’altrettanto buon “Hand. Cannot. Erase.”, ha licenziato, nel 2021, l’ottimo “The Future Bites” (nomen omen), con cui aveva dimostrato di aver sapientemente assimilato e fatto proprio un “linguaggio elettronico” capace di imporsi come forma contemporanea e aggiornata di un (pop)ular-progressive che fondava le proprie radici nel Peter Gabriel della seconda metà degli anni ottanta (ho immaginato “Self” o “Man of the Power” con alla voce l’ex Genesis), per poi vivere con autonomo respiro.
E così Wilson, due anni dopo “The Future Bites”, ha dato alle stampe “l’enciclopedico” “The Harmony Codex” (Virgin), unione di generi, stili e umori che, se da un lato testimonia le versatilità e le indubbie capacità artistiche di Wilson, dall’altra restituisce (nell’insieme) un disco che a un primo ascolto può apparire “frammentato”, ondivago nell’alternare brani (e parti di brani in seno a se stessi) di raffinato pop elettronico, a una elettronica più cupa e a rigurgiti progressive e sperimentali.
“The Future Bites” mostrava, infatti, una certa “coesione” (parliamo della versione standard e non della versione estesa), malgrado le “fughe” verso altri territori, sopratutto nella ballata rock “12 Things I Forgot e Follower” e nei 9:49 minuti di “Personal Shopper” (di cui, tra le tante versioni, ne è pubblicata anche una di 19:42 minuti), coesione che è assente in “The Harmony Codex”, che però, per suo conto, si mostra più “orecchiabile” e funzionale per piacere a un grande e piccolo pubblico.
La mini suite “Inclination”, in apertura, sembra ripercorrere vecchie atmosfere care a Wilson, per poi evolvere prima in un elettro-etnico ritmo king crimsoniano (c’è Pat Mastelotto alla batteria e percussioni) i cui fiati di Theo Travis e Nils Petter Molvær evocano le sperimentazioni di Jon Hassell e risolversi, poi, in un moderno pop rotto dal breve e “distopico” assolo (di spicco, in tutto il disco, le chitarre affidate a David Kollar e Niko Tsonev). Forte incombe “l’ombra” dei King Crimson di “A Scarcity of Miracle”.
“What Life Brings” continua l’approccio pop, spostandolo verso un più intimo cantautorato radiofonico, con una strumentalità che ricorda a tratti i Pink Floyd di “A Momentary Lapse of Reason”: perfetto singolo.
“Economies of Scale”, sebbene sia stato accompagnato dal particolare video di Charlie Di Placido (alla direzione dell’altrettanto particolare bel video di “What Life Brings”) e mostri un enorme potenziale, inciampa in un tentativo forse troppo “costruito” di tessere armonie e melodie su base elettronica: siamo ben lontani dal capolavoro compiuto da James Blake con l’omonimo disco del 2011; ma probabilmente l’intenzione di Wilson era proprio quella di mantenere un profilo “moderato”, più fruibile e spendibile a 360°. Sensazione questa che si è rafforzata al termine dell’ascolto dell’intero lavoro che, nel complesso, non supera mai drasticamente nessun limite o confine. C’è anche da dire che di recente Wilson ha curato il nuovo missaggio e il mastering di “Wet Dream” di Richard Wright e chi conosce il disco può comprendere quale sia il suo “gusto” o comunque una parte di esso. Resta che “Economies of Scale” nel “binomio” con il video è tra i più spendibili brani del disco.
Il tempo di cambiar lato al primo vinile e “Impossible Tightrope”, con i suoi dieci minuti e più, porta l’ascoltatore verso un ossessivo progressive/jazz (Theo Travis al sassofono) in cui tutto suona con “ordine”, nelle pause e negli intermezzi rallentati di pianoforte e nell’ingresso delle voci e degli assoli che paradossalmente privano l’esecuzione di funzionalità narrativa; non è poi chiara la necessità di aver strutturato il brano in forma di mini suite, omaggio anacronistico agli anni settanta.
“Rock Bottom” (scritta e con alla voce Ninet Tayeb) riconduce su binari di un raffinato pop, ai confini con il mainstream (per tale brano è stato pubblicato un video tanto semplice quanto funzionale diretto Nimrod Peled), prima che “Beautiful Scarecrow” deragli su cupe elucubrazioni post-atomiche
Il brano eponimo è caratterizzato da un recitato in apertura affidato alla voce di Rotem Wilson: “It seems I’m miles above the surface of the earth … A trillion stars in a billion galaxies … As all dreams are ultimately forgotten And lost” e da un lento crescendo sognante e al contempo “metropolitano”, “urbano” e “spaziale”; seppur nella sua quieta semplicità “The Harmony Codex” è esatto equilibrio tra musica, parole, immagini e sensazioni – bello anche il videoclip diretto da Miles Skarin che ha curato anche il video di “Impossible Tightrope”.
Se con “Time is Running Out” si torna un elettronica che sposa una scrittura a cavallo tra l’alternative e il prog (da “agnello che giace a Broadway”), marcata dalla voce modificata, con “Actual Brutal Facts” Wilson si fa “scatologico” e ieratico sia nella musica che nel recitato/cantato: “And when you turn the shit to gold it’s not appreciated”.
Chiude il disco “Staircase” che con il suo “barbarous brain” è attualizzazione per il nuovo millennio di un progressive/new wave elettronico anni ottanta; anche esso è sotto forma di suite e include nel finale una parte narrata da Rotem Wilson che riprende il testo di “The Harmony Codex” su un’altrettanto affascinate tappeto musicale che da metropolitano si fa (ultra)metropolitano, da urbano, (extra)urbano e da cosmico si fa (iper)cosmico.
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