Pensate alla Cornovaglia. I suoni tipici delle terre celtiche, le cornamuse, i kilt… Bene! Adesso cancellate tutto e date il benvenuto a questi cinque ragazzi che, sdoganando tutti i luoghi comuni circa le sonorità e il folklore della loro terra d’origine, irrompono nella scena indie-rock con prepotenza e con “variazioni sul tema” di assoluto rilievo.
I Brother & Bones si autodefiniscono, con le parole del cantante Rich Thomas, come una via di mezzo tra Mumford & Sons e Biffy Clyro e già questo basterebbe a farci capire di cosa stiamo parlando.
Sonorità marcatamente folk contaminate da una prorompente energia punk-rock, il tutto condito da trascinanti note tribali, fanno del loro debut album omonimo un lavoro sicuramente interessante e molto piacevole già dal primo ascolto. La voce energica e rabbiosa di Thomas apre “Brother & Bones” con la prima traccia, Kerosene. L’impressione è quella di ascoltare un giovane Eddie Vedder in capolavori come Jeremy o Alive. Le premesse, quindi, sembrano piuttosto buone. La traccia successiva, neanche a farlo apposta, è To be Alive: immediato e orecchiabile, è un pezzo che arriva subito all’ascoltatore. Distorsioni molto educate e contenute, rullante a condire un ritmo caratterizzato dal buon climax in ingresso al ritornello.
Si cambia atmosfera, i toni si fanno più cupi. Una più che incisiva grancassa accompagnata da una sottile e penetrante chitarra introducono il primo singolo estratto dall’album: Omaha. Abbandonate (anche se non per molto) le sonorità delicate e malinconiche del folk, irrompono sulla scena riff più aggressivi tipicamente rock e post-grunge. È il brano, forse, più energico dell’album. Seguono sono una manciata di tipiche ballate rock, tra le quali spiccano For all we know, in cui una chitarra più country e un cantato a tratti sussurrato, a tratti lagnoso, ci ricordano come mai il cantante abbia chiamato in causa i “colleghi” Mumford & Sons, Save your prayer e Why be lonely, quest’ultima accompagnata da una rabbiosa chitarra già presente in altri brani, per finire con If i belong, brano che chiude l’album.
“Brother & Bones”, in definitiva, è un disco che sorprende ed incuriosisce. Non si fa in tempo ad abbandonarsi al rilassante suono dei bonghi che arrivano le schitarrate, dure, potenti, sempre sostenute da una più che solida sezione ritmica. Si intuisce subito di non essere di fronte al solito gruppo folk, quanto piuttosto ad un valido esempio di come il rock si rinnovi costantemente attraverso la fusione con differenti sonorità mantenendo intatta l’energia e la carica che da sempre lo contraddistinguono.
Anche dal punto di vista dei testi, la prima fatica di questi cinque ragazzi scozzesi è convincente. Il romanticismo nostalgico di For all we know (“And if we’re lost then where are we now, my love?”) si mescola, fino a confondersi, con la grinta travolgente e la forza rabbiosa di Omaha (“Are we only warriors feel the water over us darker horses all of us to make our good men glorious”) in un intenso viaggio dai contorni intimisti (“See, the problem is the blindness that you carry like a cross and the solution is the darkness that you’re in”) con l’obiettivo e la speranza di raggiungere un unico e profondo risultato, appunto: “to be alive”.
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autrice: Roberta Rubini