Ok, il disco è uscito a Marzo, ma due occhi due braccia e appena 24 ore al giorno per portare a compimento anche – soprattutto – ciò che travalica i confini musicali possono indurre all’errore di bollare l’omonimo debut album di questa super-band canadese come ennesimo e pleonastico (“come la salsa sulla salsa” diceva un amico) disco stoner. E tutto in base ad una semplice occhiata alla copertina, senza badare alla comunanza di etichetta – e non solo, come vedremo – con i Broken Social Scene. Venia: il minimo che si può chiedere…
Super-band, si è detto. E forse c’è da aspettarselo conoscendo la dimensione “comunitaria” che regna nei dintorni musicali di Toronto (BSS, appunto, ma anche Shalabi Effect) e Montreal (Godspeed You! Black Emperor). Meno prevedibile è che alcuni membri delle band citate abbiano fatto un lungo salto che, oltrepassata la frontiera con gli States, li ha portati nei pressi di quella messicana per una lunga “meditazione sonora” sulla desertica solennità della Monument Valley.
La qual circostanza potrebbe quasi riavvicinarci a quello stoner da cui si era inteso stare alla larga, ma così non è. In effetti la definizione di questo disco, viste le premesse, è presto ricavata: si tratta semplicemente di ricollocare la grandiosità orchestrale dei GY!BE nello scenario tanto esemplarmente ritratto nell’artwork in digipack. La rappresentazione prevalente è quella dell’immobilità – e immutabilità – dei luoghi in questione, per il tramite di suite in cui spesso si fa a meno del tempo della batteria, in modo da dare alle chitarre (‘Claudia & Klaus’), alle trombe mariachi e al violino (‘Cantara Sin Guitara’, in cui fa capolino anche una chitarra flamenco, ‘Waiting to Catch a Bullet’) la possibilità di appiattire la propria “forma sonora” e dilatarla a piacimento. L’enfasi su queste peculiarità della natura è tale da avvertire, tra una formazione rocciosa e un rado cespuglio, le suggestioni “border” dei Quicksilver Messenger Service. Ma non è che uno spettro, vista l’assenza tanto di una spanish guitar quanto di torridi giri hard-blues.
E’ evidente che l’uniformità di queste caratteristiche non sarebbe di giovamento all’economia qualitativa del disco, né d’altra parte corrisponderebbe al tenore stilistico delle figure coinvolte. Ed ecco, quindi, i dovuti elementi di variazione, come i crescendo psichedelici di ‘Beyond the Valley’ e ‘Back to God’s Country’, in cui la batteria non solo fa la sua comparsa, ma si lancia in un massimalistico testa a testa con la chitarra, riempiendo tutto lo spazio sonoro disponibile; e la “medietà” di ‘Westworld’ e ‘Bata Bay Inn’, in cui le due componenti – impeto e dilatazione – secondo cui la vena psichedelica si esprime convergono e trovano compromesso in una forma quasi-canzone, in cui Deirdre Smith esibisce testi e voce (novella Lisa Germano?).
Ed è in questa modalità che il disco si chiude. Altrimenti detto: sì, c’è vita nel deserto…
Autore: Bob Villani