“Gloom lies beside me as I turn my face towards the light” è il titolo dell’esordio discografico di Manuel Volpe, ragazzo originario di Jesi che da qualche anno vive a Torino. Prodotto da Goatman queste nove tracce che ridiscutono i confini di ciò che è tradizione e ciò che non lo è, sono uno spaccato dei suoi pensieri, di un suo particolare modo di vedere la vita, magari attraverso il filtro viscoso del mare o della terra. Ne abbiamo piacevolmente parlato col diretto interessato.
C’è da dire che come titolo del tuo esordio discografico non sei stato molto sintetico. Eppure il significato è un qualcosa che si nasconde e che riappare. L’idea che i propri passi si portino dietro un peso di perplessità e di bugie.
È un titolo piuttosto lungo e mi ci sono voluti alcuni mesi prima di digerirlo a dovere e decidere che era proprio lui e non un altro. Il fatto è che sentivo il bisogno di dare una chiave di lettura all’intero lavoro, una sorta di descrizione del suo contenuto. Mi fa piacere che tu abbia colto questo aspetto delle perplessità e delle bugie che accompagnano un percorso. È un disco che, in qualche modo parla di cambiamento e, almeno ad oggi, credo che un cambiamento sia possibile solo a patto di alcune consapevoli falsificazioni pronunciate a sé stessi.
Esordisci per Goatman, realtà di produzione molto attiva in questi anni. Come è nata questa collaborazione?
Francesco Alloa di Goatman è un caro amico e ottimo musicista. Ha partecipato ad alcune sessioni di registrazione ed è stato tra le persone di riferimento durante i lavori. Sapevo che lui era interessato a pubblicare l’album e io ero contento di farlo con qualcuno a me familiare, in un ambiente protetto insomma. Ha fatto molti sacrifici per potermi aiutare e di questo gliene sarò per sempre grato.
Da Jesi a Torino, il passo è stato breve o tortuoso?
Diciamo che è stato piuttosto breve. Durante la mia esperienza al Red House Recordings, ho avuto modo di conoscere molti musicisti dell’area piemontese quindi l’impatto con la nuova città è stato di molto attutito dalla loro amicizia. C’è da dire però che, nonostante questo sia il quarto anno che vivo a Torino, mi riesce ancora difficile chiamarla casa.
Ascoltando Gloom lies beside me…mi è tornato in mente la Sicilia, più che qualsiasi altro posto. C’è a mio avviso un’istinto di attrazione verso la solitudine, la periodicità degli eventi, il mediterraneo che implode senza far disastri. In un’unica parola: penombra. Che ne dici?
La Sicilia è la terra da cui viene tutta la mia famiglia. L’ho sempre vista come un luogo misterioso e ammaliante che, con la sua sensualità feroce, accoglie tutti, ma si svela a pochi. Per questo incanta ma molto spesso spaventa. Senza dubbio, questo insieme di emozioni è stato per me un’importante fonte di ispirazione durante la lavorazione album.
L’ oscurità che avevo in mente era quella densa e salmastra dell’estate, quella di una camera da letto con le serrande abbassate mentre fuori brucia il sole d’agosto.
Hai effettivamente dei modelli a cui ti ispiri?
Paolo Conte è senza dubbio il faro a cui guardo più spesso e non nego una certa dose di idolatria nei suoi confronti. Come lui, Maria Teresa Vera, una cantautrice cubana degli anni ‘30 che conosco solo grazie a una raccolta postuma intitolata “The Cuban Legend”.
Sei autodidatta o hai dei pregressi di studio della musica alle tue spalle?
Ho iniziato a suonare quando avevo 10 anni frequentando da subito la scuola di musica del paesino in cui vivevo. Ero ancora minorenne quando ho iniziato a studiare armonia e improvvisazione jazz, frequentando le lezioni private del maestro Massimo Moriconi (Chet Baker, Mina etc.). Poi, per qualche strano motivo, ho smesso di studiare e mi sono dedicato ad altro. Credo di non avere una preparazione completa di teoria musicale, ma due o tre cose le so e mi piace metterle in pratica.
Ritorniamo all’album: come nascono queste canzoni? C’è una ricerca spinta dal gusto, dalla calma o dalla foga di dire la tua?
In genere i miei brani hanno una gestazione molto lenta. Questo perché ho un rapporto ambiguo con l’ispirazione. Credo che l’ispirazione sia fondamentale nella primissima fase, quella più istintiva, più d’improvvisazione, ma molto spesso è cattiva consigliera nella composizione che è un processo più razionale, soprattutto se si lavora da soli. Mantenere un buon equilibrio tra istinto e razionalità, per adesso, è la formula che più mi appaga. Detto questo, scrivo con una certa regolarità, ma non ho fretta di pubblicare materiale come non ho paura di scartare dei brani anche quando mi convincono. Mi piace registrare tutto nel mio piccolo studio casalingo e ascoltare ripetutamente il risultato, magari mettendo a confronto una nuova composizione con una in lavorazione per vedere l’effetto che fa.
Come nasce l’incontro con i musicisti che suonano con te nel disco?
La maggior parte dei musicisti che hanno preso parte alle sessioni li conoscevo già, altri li ho contattati per l’occasione. Ci sono molti amici, ma anche diversi professionisti che provengono da esperienze artistiche molto differenti. In generale mi colpisce più la personalità di un musicista che le sue capacità tecniche. Molto spesso gli arrangiamenti sono scritti da me. Escluse le note e l’armonia non do indicazioni marcate sull’espressione e cerco di essere meno invadente possibile durante le take. Questo perché non ho l’arroganza di credere di sapere in ogni momento quale sia la cosa giusta o sbagliata per la mia musica, per questo adoro quando il musicista prende iniziative su un brano: il suo grado di coinvolgimento determina il risultato.
È previsto un tour promozionale per caso?
Ci sono già alcune date a fine settembre nel centro sud. Inoltre stiamo cercando di organizzare un piccolo tour di una decina di date a inizio ottobre con un bel quintetto. Le difficoltà sono molte, ma sono fiducioso.
Ti lusingano le parole che hanno scritto su di te e sul tuo album? Cosa ne pensi della promozione musicale in Italia?
Personalmente sono molto soddisfatto di “Gloom Lies…” però non do mai niente per scontato, quindi sì, sono lusingato. Mai avrei creduto di leggere dei commenti così favorevoli sull’album, mi danno una gran voglia di fare ancora meglio. Per quanto riguarda la promozione musicale in Italia non credo di essere la persona adatta a rispondere. Ci sono molti meccanismi che ancora mi sfuggono, ma credo che sia questione di inesperienza, per questo ho preferito lasciare il compito a dei professionisti.
Cosa stai ascoltando in questi giorni?
Da diversi mesi sto ascoltando “Fight Against Babylon” dei The New Zion Trio di Jamie Saft, un compositore che mi stupisce sempre per la sua capacità espressiva ipnotica al limite dello spirituale.
E In Lie to Rest riappare quel malinteso, quell’incrocio che io paragonerei ai giochi di chiaroscuro di alcuni vicoli. C’è un non detto, una frana dei sentimenti di cui si tace in questo brano.
A livello testuale mi limito a descrivere a parole dei brevi quadri sottoforma di monologhi o dialoghi dove molte informazioni sono lasciate al contesto. L’essenza della scena, il carattere di chi pronuncia quelle parole, l’ambientazione fisica e psicologica cerco di affidarli alla parte musicale, magari identificando ognuno di questi aspetti con uno strumento. In Lay To Rest mi piace pensare che colui che parla sia il contrabbasso che si districa tra gli accordi cercando di trascinare con sé una storia che si arricchisce e appesantisce di nuove voci ad ogni giro. Nonostante tutto riesce a concluderla, a mettere un punto, ma qualcosa non torna. Non so se riesco nel mio intento ma mi diverto così.
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autore: Christian Panzano